Elezioni regionali: tra crisi della partecipazione e dubbi sul futuro del “miracolo Veneto”
In Veneto si voterà per il rinnovo della Regione all’ultima data possibile, in novembre. Politicamente potremmo considerare elezioni a risultato scontato, dato i rapporti di forza: rivince il centrodestra e gli altri restano all’opposizione. Anche nelle politiche del 2022 si è registrato un pesante divario. Le liste della attuale maggioranza hanno preso il 55,2%, quelle del cosiddetto campo largo il 29,8.
Potremmo dire che non ci sia partita, tuttavia non si sa mai, l’elettorato riserva più sorprese di una volta. Si possono rilevare due fatti nuovi. Da un lato l’area progressista, diversamente dal passato, ha individuato per tempo un candidato come Giovanni Manildo, con alle spalle una importante esperienza amministrativa e ha costruito una larga alleanza, senza divisioni interne. Nel campo della attuale maggioranza resta invece una importante divisione sulle prospettive e sugli equilibri politici, tanto da dover delegare ogni decisione al centro (Roma ladrona, avrebbero detto i leghisti di una volta, singolare per forze che si definiscono autonomistiche). Ed è anche singolare che Zaia, forte di una larghissima popolarità, non sia stato in grado di preparare una successione ordinata alla sua popolare stagione di Presidente, illudendosi che tutto si sarebbe risolto con il terzo (quarto per lui) mandato. Ma la democrazia è fatta di regole che temperano i poteri assoluti, e ci ha ricordato la Corte Costituzionali che a poteri penetranti e assoluti rispetto alla Giunta e al Consiglio deve corrispondere un limite temporale nell’esercizio di questi poteri.
Al di là dei risultati elettorali che sono nelle mani del popolo veneto bisogna anche soffermarsi su due aspetti. Il primo riguarda la crisi di partecipazione che è un vulnus grave per la vitalità di una democrazia, che non può esistere senza popolo. Non riguarda ovviamente solo il Veneto. Quando furono (finalmente) fatte le Regioni alle prime elezioni nel 1970 votò in Veneto il 94,6% degli aventi diritto, percentuale ancora incrementata in quelle del 1975, in cui si raggiunse il record partecipativo del 95,1%. Poi una sostanziale stabilità nelle tre consultazioni successive, con lievi e fisiologici decrementi, per registrare in seguito una forte contrazione a partire dal 1995, conseguenza del crollo dei partiti della prima repubblica: in dieci anni persi 15 punti percentuali nella partecipazione al voto, fino ad arrivare al punto più basso nel 2015 con il 57,2%. Nel 2020 si registra un incremento in controtendenza, risalendo al 61,2%: possibile effetto del grande consenso del presidente Zaia, con la sua lista che porta a casa l’eccezionale risultato del 44,57%, probabilmente conducendo al voto elettori che non si riconoscevano nel sistema dei partiti. Di questa drammatica usura del buon funzionamento dei sistemi democratici si parla al massimo il giorno dopo delle elezioni e poi i partiti stessi, sempre più verticistici e leaderistici, non se ne occupano. Ci si accontenta del risultato in percentuale, che si calcola però su un totale di elettori sempre più striminzito: nel 1990 votarono 3,7 milioni di veneti, nel 2020 solo 2,5 milioni: tanti cittadini persi per strada sottratti al consenso e alla vitalità della democrazia. Eppure quello che succede nel mondo, tra guerre e l’affermarsi di regimi autocratici, dovrebbe essere fonte di grande preoccupazione: la democrazia è malata. Vedremo cosa succederà nel prossimo novembre: certo l’esito scontato, le divisioni della maggioranza che finiscono per scontentare gli elettori del proprio campo, la mancanza di una lista Zaia come grande attrattore di voti di elettori non schierati partiticamente sono tutti elementi che non inclinano all’ottimismo.
Il secondo aspetto riguarda il Veneto. Per tanto tempo motore dello sviluppo italiano, il miracolo del Nord est e tanti altri primati, ora un motore che per molti motivi sta perdendo colpi.
Ci sono molti dati che segnalano questo rallentamento e perdita di competitività, basta andare ai rapporti annuali della Fondazione Nord Est. In particolare deve preoccuparci il confronto con l’Emilia Romagna, per tanti anni sono stati due modelli di successo che hanno camminato di pari passo, ora gli emiliani corrono più dei veneti. Solo per citare qualche dato: nelle classifica europea delle aree per reddito pro capite nel 2000 il Veneto era avanti all’Emilia Romagna di 9 posizioni, oggi è indietro di 20 posizioni, secondo un indice europeo sulla capacità innovativa dei territori il Veneto è classificato innovatore moderato, L’Emilia Romagna forte innovatrice, ci dice la Banca d’Italia che negli ultimi 20 anni la produttività del sistema veneto misurato in Pil per occupato è calato di 1,8 punti, il Veneto è un esportatore netto, in particolare verso l’Emilia, di giovani laureati: l’eccellente sistema formativo veneto li prepara, ma poi è il sistema emiliano ad attrarre talenti.
Questi aspetti dovrebbero essere al centro della campagna elettorale, tenendo anche conto di un peggioramento del contesto geopolitico grave per una regione forte esportatrice: guerre, dazi, rallentamento della Germania e così via.
Naturalmente non tutto può essere corretto con politiche regionali, ma occorre che le Regioni facciano la loro parte. Nel Veneto abbiamo assistito ad una desertificazione delle strutture di servizio all’innovazione economica, dalle Fiere, alle multiutility, alle banche, tutte con la testa fuori dal Veneto nel sostanziale disinteresse dei poteri pubblici regionali. I risultati emiliani sono anche figli di politiche concertate tra Regione, rete delle Università, sindacati ed associazioni di categoria. Ad esempio per contrastare une degli elementi negativi per il futuro economico, la perdita di talenti professionali, la Regione Emilia Romagna ha predisposto un apposito progetto per l’attrazione di talenti, con un insieme concertato di azioni: borse di studio e dottorati, facilitazioni per le famiglie, inserimenti lavorativi agevolati e altro, cosa che da noi manca totalmente.
Così succede che in Emilia Romagna si sia realizzato Leonardo, un mega calcolatore, il quinto al mondo per potenza di calcolo, che garantirà l’80% delle necessità italiane, a servizio del mondo della ricerca e dell’industria. In Veneto abbiamo celebrato le prossime Olimpiadi invernali come un grande successo, ma nulla è stato fatto per migliorare l’accessibilità, con l’Alemagna interrotta in modo ricorrente per frane, nessun progetto ferroviario per una accessibilità dolce, unica opera infrastrutturale una pista da bob e slittino che ha sacrificato un grande bosco: un centinaio di milioni di euro per uno sport praticato in Italia da poche decine di tesserati.
Eppure le eccellenze ci sono: nelle imprese, nelle Università, nelle fondazioni culturali, in capacità lavorative: manca un disegno ambizioso per fare fruttare al meglio, toccherebbe in primis alla Regione.