Ci attende un futuro, vicinissimo, che sarà del tutto diverso da quello che conosciamo. Ma sta a noi affrontarlo mantenendo la nostra umanità
Avvicinandosi qualsiasi scadenza, non c’è nulla di così naturale quanto tracciare, in modo consapevole o del tutto istintivo, un bilancio. Sembra inevitabile riepilogare, riflettere, esaminare la strada percorsa in funzione di dove ci si trova e in vista del futuro, prossimo o lontano. Tra tutti i possibili resoconti, poi, quello della fine di un anno ha (oltre alle incombenze pratiche) anche un fortissimo significato simbolico.
È giusto dire subito che, per quanto riguarda “Il Popolo Veneto”, il consuntivo del primo anno completo di pubblicazioni (nel 2024, infatti, le uscite erano iniziate in primavera e, per i primi tempi, conservavano un po’ il sapore dell’apprendistato) non può che risultare positivo. Gli articoli presenti in archivio sono ormai numerosi, apprezzati e di qualità, vari nei temi, negli argomenti e nelle voci. Efficace elemento di paragone è il primo annuario, curato da Massimo Toffanin e da me, edito in forma di libro cartaceo: pur ponendo necessariamente il limite di due articoli per autore, si è concretizzato in un volume di quasi cinquecento pagine, a significare che – se si volesse trasporre tutto dal web agli scaffali – solo il primo anno e mezzo costituirebbe già un’opera delle dimensioni di una piccola enciclopedia. I riscontri, peraltro, sono positivi: l’attenzione aumenta, si moltiplicano le osservazioni e le risposte dei lettori e, cosa altrettanto importante, le tracce e la visibilità sul web.
Pertanto, come si conviene ad un direttore e unitamente al proprietario-editore Massimo Toffanin, è innanzitutto d’obbligo un ringraziamento sentito a tutti coloro che stanno partecipando a questa intrapresa editoriale, con i loro contributi e il loro apprezzamento, perché è innanzitutto merito loro se il cammino ha potuto iniziare, consolidarsi e gettare le basi per il proseguimento. Nulla è davvero semplice, ma sono molte più le ragioni per sentirsi fiduciosi rispetto a quelle per dubitare.
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Tuttavia, se ciò vale per questa nostra iniziativa, nel contesto generale ci si trova evidentemente di fronte ad un rivolgimento globale che costringe – non chissà quando, ma subito – a ripensare il mondo come lo conosciamo. Nulla di troppo nuovo, in realtà, in prospettiva storica: i millenni, e i secoli, hanno già mostrato più volte situazioni simili, trasformazioni ed evoluzioni che oggi studiamo sui libri e di cui ci parlano i documentari. Ad essere radicalmente diversa è però la velocità con cui tutto accade, peraltro letteralmente tra le nostre mani avendo la tecnologia, sempre più pervasiva d’ogni contesto e attività, un fortissimo ruolo di traino: quel che sembrava fantascienza ancora due anni addietro sarà realtà quotidiana nel giro di pochissimo. Ci adatteremo, troveremo il modo giusto (nel senso di efficace ma, si spera, anche in quello di equo) per muoverci e orientarci in questo ambiente in rapidissima trasformazione; ma non sarà una passeggiata, soprattutto se cercheremo di non subire tutto passivamente.
Nessuno sviluppo tecnologico, finora, ha mai avuto altre implicazioni se non in termini di strumentazione, di servizio, di miglioramento delle condizioni di vita, pratiche e intellettive. Quello cui stiamo assistendo oggi, sotto i nostri occhi e (come detto) tra le nostre mani, è qualcosa che va ben oltre. Per la prima volta la tecnologia, anziché aiutarci, può sostituirci, e con questo non intendiamo affatto pensare a scenari conflittuali o violenti come quelli prefigurati da alcuni: semplicemente, può rendere superflue (e soprattutto, il che è ancor più pericoloso, in modo repentino) molte delle nostre abilità, manuali o cognitive. In un mondo nel quale la solitudine diviene sempre più una condizione diffusa, in tutti gli ambienti e a tutte le età, anche lo spazio delle relazioni affettive e umane è destinato ad essere invaso e sovvertito.
Un tempo si poteva tentare previsioni, semplicemente perché c’era il tempo di immaginarle. Oggi qualsiasi ipotesi è un azzardo, sia in ottica entusiastica e ottimista sia, invece, nelle visioni pessimiste o catastrofiste. Il che equivale a dire che nessuno ha davvero idea di quali saranno le reali evoluzioni, e conseguenze, della strada che stiamo percorrendo, ciascuno esprimendosi in base alle proprie competenze, conoscenze, esperienze ma, anche, emozioni, desideri e paure: tre elementi, questi ultimi, che appartengono all’essenza della nostra umanità e che, non a caso, ancora non si sa che ruolo giocheranno nel rapporto con le nuove realtà artificiali, dotate d’intelligenza ma anche, ed è l’aspetto più straniante, di un corpo e un aspetto che replicheranno i nostri. La cosa buona, se così si può dire, è che non dovremo vivere a lungo nell’incertezza: i tempi in cui questo accadrà sono imminenti, anzi sono già i nostri.
Un’infinità di studi, di speculazioni, di opere creative e riflessive hanno dimostrato – a livello sociale, cognitivo e persino neuro-biologico – che ciò in cui crediamo è vero, per fantasioso o “irreale” che sia, nella misura in cui produce comunque effetti sulla nostra realtà e indirizza i nostri comportamenti. Mentre cercavo ispirazione per scrivere questo articolo, che potrebbe avventurarsi in più direzioni, mi sono imbattuto in un reel – i brevi filmati divenuti, ormai, uno dei principali e più invadenti passatempi (o perditempi) di chiunque si colleghi ad internet – il cui autore in pochi secondi interagisce, sullo sfondo della città di Napoli e in modo del tutto credibile, con Totò e Bud Spencer, Pino Daniele, Massimo Troisi e Diego Maradona. Uno spezzone che fino a pochi anni fa avrebbe richiesto un complicato, lento e assai costoso lavoro digitale, con uso di montaggi ed effetti speciali (non a caso appannaggio delle maggiori produzioni cinematografiche), ma che adesso è una creazione alla portata di chiunque, grazie a programmi che realizzano, dietro una semplice istruzione verbale e senza alcun intervento tecnico da parte del richiedente, praticamente tutto da soli.
Mentre discutiamo quando e quanto le intelligenze artificiali subentreranno a noi nel mondo del lavoro (tutti rassicurano che “nasceranno altre occupazioni” a compensazione di quelle che si perderanno, ma nessuno che ne sappia dire concretamente una) appare sempre più evidente che tale sostituzione non riguarderà soltanto innumerevoli mansioni, ma la stessa percezione e interazione con la realtà. Quando, di qui a brevissimo tempo, potremo animare qualsiasi fantasia, lecita o illecita, o richiamare nella nostra vita i simulacri di chi si è allontanato, inclusi quelli di chi non è più, e interagire pienamente con loro, quale spazio resterà al concetto di “realtà” e, soprattutto, saremo davvero immuni dalla tentazione di scambiare i differenti piani?
Queste sono le sfide, ciascuna destinata a ramificarsi in chissà quant’altre: tuttavia nel nostro e nel mio augurio per l’anno che viene non c’è alcuna ironia, perché la curiosità e la fiducia prevalgono sui timori e sulle incertezze. La verità, però, è che mai quanto in questo tempo ignoriamo, davvero, cosa scriveremo di qui a dodici mesi: questo articolo, nel giro di pochissimo, potrebbe apparire già antico, come quando rileggiamo cronache di decenni prima. L’auspicio, allora, è che la frenesia in cui viviamo ci lasci, almeno, il tempo e le occasioni per orientarci: non farà male, in questo, il confronto gli uni con gli altri, ponendo a buon fine quell’umanità che le macchine sapranno sempre meglio simulare e surrogare, ma mai replicare davvero. Quella, ora e si spera per sempre, tocca ancora a noi.
