Il tesoro di Ariano
La vicenda di un ritrovamento fortunato nel 1908: centinaia di monete d’oro del XVI secolo
Il 26 marzo 1908, nel fondo denominato Co di Mare (comune di Ariano nel Polesine, frazione di Rivà) furono rinvenute centinaia di monete d’oro del XVI secolo.
La bonifica dell’isola di Ariano, compiuta nel primo quadriennio del Novecento, per la cui realizzazione si erano tenacemente e a lungo battuti i proprietari terrieri locali, organizzati nell’omonimo Consorzio di Bonifica, cominciava a dare i frutti attesi. Il paesaggio, prima caratterizzato da ampi specchi d’acqua e da paludi, si era trasformato in una regolare distesa di terreni coltivati.
L’ingegnere Antonio Zecchettin, con il comprensibile orgoglio di chi aveva profuso intelligenza ed energie per la perfetta riuscita dell’opera, scrisse: “Là dove si udiva lo stridulo sfregamento delle canne mosse dal vento nell’immensa distesa delle acque stagnanti si ode il garrulo cinguettio degli uccelli resi lieti da lussureggianti vegetazioni, dove nelle mortifere paludi strisciava la velenosa vipera, si va col bue lento innanzi al campo, apportatore di messi abbondanti” (1).
Questa serena immagine agreste è solo parzialmente rappresentativa della complessa realtà post-bonifica. La vita quotidiana continuava ad essere grama per la maggioranza degli abitanti, anche se diminuì la miseria. Nel suo diario la maestra Carolina Rosatti annotò con disarmante semplicità: “Ora avevano un tozzo di pane da rosicchiare…le donne cominciavano a vestirsi meglio…non andavano più a piedi nudi o con zoccoli di legno, ma avevano calze, sandali scarpe di gomma. Non si vedevano più i capelli arruffati. Insomma faceva capolino la civiltà tra questo popolo abbandonato quasi, ma non privo di dignità” (2).
Il ricordo del ritrovamento delle monete è ancora presente nella memoria popolare. La ricostruzione dell’avvenimento ci introduce per un attimo nella dimensione della realtà e del sogno, della concretezza e dell’immaginario. Un pezzo di terra, da pochi anni strappato alle acque, assume improvvisamente la fisionomia di una terra promessa: sotto le zolle nascondeva un vero e proprio tesoro di monete d’oro.
La scoperta avvenne la mattina di giovedì 26 marzo 1908 nella tenuta dei fratelli Edoardo, Salvatore e Nazzareno Pozzati, soprannominati Moscardin, un terreno molle e verde, intersecato da canali e da fossi, dove il grano e la barbabietola crescevano abbondanti, le tartarughe attraversavano traballanti i sentieri e l’aria risuonava di cinguettii e gracidii. L’ambiente non richiamava nemmeno lontanamente la mitica terra rocciosa, scavata da torrenti, dove si aggiravano i cercatori d’oro, attratti dal miraggio della ricchezza. Ma, incredibilmente, apparve il prezioso metallo. Il luogo dove il luccichio improvviso dell’oro provocò brividi antichi si chiamava Co di Mare, frazione di Rivà, a circa 4 chilometri a nord del Po di Goro, in prossimità della via Romea, di fronte alla località denominata Violata.
Edoardo Pozzati stava arando il terreno per la semina delle barbabietole. Mentre il vomere rimuoveva la terra alla profondità di 30-40 centimetri, notò in una zolla rimossa uno strano luccichio. Accertò con stupore che si trattava di una moneta d’oro. Informò subito i fratelli. Insieme si misero a scavare, a sollevare le zolle, a sgranarle con le mani. Dai campi vicini qualcuno notò che parlottavano, si scambiavano cenni d’intesa, raccoglievano qualcosa di minuscolo che rapidamente intascavano. Un’occhiata più attenta. Una conferma. E la notizia si sparse in un baleno. Dopo la pausa del pranzo i fratelli ripresero il lavoro. La ricerca proseguiva sistematica e tranquilla. Qualche curioso osservava di lontano, in silenzio, fingendo di non vedere.
Scese la sera. Nei casolari si accesero i lumi. Ombre furtive sfilarono caute lungo gli alberi, si avvicinarono al luogo preventivamente individuato e riempirono senza alcuna autorizzazione sacchi di terra. Giustificavano il diritto alla ricerca con questa considerazione: “I Pozzati sono padroni del terreno, hanno diritto del raccolto perché lavorano la terra e la seminano, ma dell’oro no! Quando hanno acquistato il terreno non lo hanno già pagato per oro, l’oro deve essere di chi se lo prende, quindi avanti e prendiamoci la nostra parte!” (3).
All’imbrunire del giorno seguente i proprietari del fondo, dopo aver scavato con discreto profitto, si accovacciarono su quella terra, candele accese e un fisco di vino, per fare la guardia. Durante la notte sventarono un tentativo di furto ad opera di ignoti, con scambio di fucilate.
La mattina del sabato 28 marzo si recarono alla stazione dei Regi Carabinieri di Ariano per informarli dell’accaduto e chiedere protezione. Nel frattempo assunsero tre guardiani per impedire a chiunque di avvicinarsi. Ma la domenica, verso le tredici, una numerosa schiera di gente, in buona parte proveniente da Taglio di Po e dal basso Ferrarese, imponendosi con la minaccia di forche, bastoni e fucili, costrinse i guardiani a ritirarsi e si diede all’affannosa ricerca del tesoro. Gli invasori, setacciato il terriccio, rintracciarono almeno un centinaio di monete d’oro. Questa situazione durò fino alle 17, allorché giunse sul posto il brigadiere dei Carabinieri che persuase gli estranei ad allontanarsi. Quindi, entrato nella casa dei Pozzati, sequestrò circa trecento monete che consegnò alla Pretura di Ariano (4).
La Prefettura di Rovigo informò della scoperta il prof. Pellegrini dell’Università di Padova, ispettore agli scavi, che si recò sul posto. Confermò che si trattava di scudi d’oro con l’effigie di Giovanna la Pazza e Carlo di Napoli, scudi di Modena coniati da Ercole II, duca di Ferrara, scudi di Sole di Francia e di Spagna, ducati di Genova: in tutto 320 pezzi (ma si parlò di almeno mille monete rintracciate ed occultate).
Lo studioso ipotizzò che le monete giacenti alla profondità di circa 30 centimetri a fiore dello strato marino costituito di sabbia e conchiglie, fossero state trasportate là per effetto di qualche inondazione, o di qualche altro cataclisma che nel 1600 aveva colpito la zona. Il fondo sorgeva, anticamente, molto vicino al mare (nel XIII secolo la via Romea costeggiava la spiaggia). Le monete, trascinate da un corso d’acqua, uscirono dalla loro custodia e si dispersero. La consultazione di una vecchia pianta dell’isola di Ariano confortò questa ipotesi. Da essa risultava che il Po di Goro, all’epoca della coniazione delle monete, aveva abbandonato l’alveo dell’Abbate e, deviando il suo corso verso sinistra, aveva iniziato a scorrere pressoché nella località del fondo Pozzati (5).
Renato Simoni (1875-1952) giornalista e critico teatrale di grande talento, redattore del Corriere della sera, riportò la cronaca dell’avvenimento con acute considerazioni sugli aspetti psicologici e sulle emozioni dei protagonisti. Riporto il resoconto dell’intervista rilasciata da Nazzareno Pozzati:
“Mi è venuto incontro con un sorriso atono. Mi ha parlato stanco, quasi desolato, come schiacciato dal fato.
– In che modo avete trovato?
– Ma, non saprei, per caso.
– Vi ha fatto piacere?
– Eh, già!
– Vi dispiace che vi abbiano derubato?
– Eh, sicuro.
– Non avete fatto niente per recuperare la roba vostra?
– No.
– Perché?
– Così.
Così vuol dire che si va alla deriva; e andando alla deriva, secondo il flusso della vita, oggi è oro, domani sono fucilate, oggi è la fortuna, domani la sventura. Pazienza per il bene e per il male. Nessuna febbre. Forse perché la febbre più intessa la accende il desiderio del possesso, non il possesso”.
L’intervistatore conclude:
“Una cosa è certa adesso: che se qualcuno volesse andare a comprare terreno lungo il Canalbianco e il Po di Goro non troverebbe accoglienze cordiali. Il momento non è buono. Ogni possidente accarezza la fede segreta di avere oro a mucchi sotto la crosta verdeggiante dei campi. E questi campi hanno ora, oltre al loro prezzo, il valore inestimabile dell’illusione. Ora l’illusione non si compra e soprattutto non si vende”.
Una notizia comparsa di recente in una rivista specializzata di numismatica, getta un fascio di luce, per quanto parziale, sul seguito dell’avvenimento (6). Il documento, conservato nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, venne catalogato dal bibliotecario Luca Sighinolfi, allievo di Giosuè Carducci, responsabile dal 1909 dei manoscritti bolognesi, in seguito Ispettore del Museo Civico di Bologna e membro della Deputazione di storia patria per la Romagna (7).
Riporto integralmente il testo dell’articolo, scritto da Mario Rosario Zecchino (8):
“Da un documento conservato nella parte III, Carte di Lino Sighinolfi, busta 1, fascicolo 11, apprendiamo una importante notizia dai rilievi spiccatamente storico-numismatici: il rinvenimento di monete d’oro a Rivà d’Ariano, frazione di Ariano Polesine (Ro), proposte in vendita al Museo. Le monete non furono acquistate dal Museo, ma a noi è rimasto l’elenco delle 34 monete d’oro proposte in vendita con il rispettivo prezzo. Il documento presenta a mo’ di intestazione la seguente dicitura: Monete d’oro trovate in Rivà d’Ariano nel fondo collinare (sic) di proprietà di Pozzati Edoardo l’anno 1908, il 26 marzo. In basso, sulla destra del foglio, si legge: ‘Apprezzando (l’opportunità di un acquisto) scrivere a Edoardo Pozzati, Rivà, Comune di Ariano Polesine’. A tale frase è aggiunto, con grafia diversa e matita blu: ‘che è venuto ad offrirle al Museo oggi 3 settembre 1910’. Nel centro del documento, invece, a matita rossa, è specificato: ‘Non si è venuti a trattativa perché il proprietario intendeva venderle in blocco’. Segue l’elenco delle monete (riportato in ordine alfabetico) con il nome dell’autorità emittente, l’indicazione della zecca ed il rispettivo prezzo:
Alessandro: 29 lire
Alfonso I di Este duca di Ferrara: 30 lire
Carlo dei Gracia Valenciae Maioricarum: 30 lire (Carlo V d’Asburgo imperatore di Valencia e Maiorca)
Carlo Imp. Augusto: 30 lire
Carlo Imp. di Siviglia: 29 lire
Carlo V di Napoli: 29 lire
Carlo V e Giovanna la pazza: 19 lire
Corrado Romanorum rep. di Genova: 29 lire
Cosimo de Medici Firenze: 29 lire
Ercole di Modena e di Ferrara: 29 lire
Ercole di Reggio Lombardia: 29 lire
Ercole II d’Este duca di Ferrara IIII: 30 lire
Francesco di Mantova: 19 lire
Giovanna e Carlo (esemplare diverso): 18 lire
Giulio III per Roma: 100 lire
Lodovico II. Pico di Mirandola: 30 lire
Margherita e Guglielmo di Mantova: 100 lire
Mezzo scudo della Repubblica di Siena: 30 lire
Mezzo scudo di Carlo V: 39 lire
mezzo scudo di Giulio III per Bologna: 290 lire (non c’è più)
mezzo scudo di S. Volto di Lucca: 30 lire
Ottavio Farnese, Parma: 30 lire;
Paolo III per Bologna: 100 lire
Paolo III per Bologna: 30 lire
Paolo III per Piacenza: 30 lire
Paolo III per Roma (diverso): 30 lire
Paolo III per Roma. Vas Elezioni: 29 lire
Pier Luigi Farnese di Castro: 100 lire
Pius V e Petrus ala, Roma: 100 lire
Rep. Di Lucca, Santo Volto 29 lire
Rep. Di Siena (variante): 39 lire
In base ad un’attenta lettura del documento, sembrerebbe di trovarsi di fronte al ritrovamento di un importante tesoretto di monete medievali e che ci sia stato un immediato tentativo di vendita dello stesso da parte del proprietario del fondo in cui furono rinvenute. Se fosse così, la notizia sarebbe di grande interesse storico-numismatico e solleverebbe immediatamente alcuni quesiti: il tesoretto era composto da ulteriori monete, magari già disperse sul mercato prima che si proponesse la loro vendita al Museo? Quando e per quale motivo fu occultato?”.
NOTE
1) Per approfondire le conseguenze della bonifica dell’isola (1900-1904), evento non solo idraulico ma anche economico e sociale, si rinvia alla lettura del saggio storico di ALDO TUMIATTI, Lotte contadine nell’isola di Ariano, Rovigo, 1984 e alla corposa opera di PIETRO COLOMBO – LINO TOSINI, 60 anni di bonifica nel delta del Po, 2009.
2) CAROLINA ROSATTI, Aneddoti e ricordi della mia vita, Torino 1971, p. 82.
3) GUSTAVO CRISTI, Storia del Comune di Ariano Polesine, Padova 1934, p. 106.
4) Fu chiamato un esperto, il prof. Alfonsi di Este, il quale “le visitò e trovò che erano di diversi conii, appartenevano quasi tutti al secolo XVI, erano di Carlo V e Giovanna la Pazza, di Clemente VII, di Paolo III ed altre, che non tutte passarono sotto l’occhio del perito numismatico. Oltre a queste, per quanto ho potuto sapere, ve ne erano di Ercole II di Ferrara, Scudi d’oro del Sole di Francia (écu au soleil), e del Sole Spagna, ducati di Genova ed altre fra cui qualcuna di pregio numismatico. Ho inteso dire che una fu pagata Lire 750. Molti furono i commenti riguardo alla quantità dell’oro trovato, qualcuno lo ha fatto arrivare al mezzo milione di lire, qualche altro a centomila lire, ma nessuno all’infuori dei fratelli Pozzati saprà la verità” (G. CRISTI, op. cit., p. 106)
5) Molte furono le ipotesi per spiegare come potevano trovarsi là quelle monete. Qualcuno disse trasportate dalla foga delle acque di una rotta del Po, chiuse in un forziere ed interrate dall’alluvione. Qualche altro che fossero la cassa di un esercito belligerante: forse della repubblica Veneta in guerra contro il duca di Ferrara. Quest’ultimo, avuto la peggio, avrebbe fatto gettare la cassa in una palude perché non cadesse in mani nemiche. Altri ancora pensarono che fosse l’avanzo di un naufragio. Tra il 1550 e il 1600 il mare, nel punto in cui furono ritrovate, faceva una gran sacca, chiamata la sacca di Goro, nella quale fu condotto sfociare il nuovo ramo scavato in destra del Po delle Fornaci (Taglio di Porto Viro). Il Cristi propende per questa tesi: “…in una carta del 1600 vedo che il mare batteva poco distante dal luogo delle monete. Ma se si tiene calcolo che il Po alle foci prolunga il terreno di 70 metri annui, noi siamo certi che pochi anni prima del 1600, nel luogo dove furono trovate le monete, c’era il mare…sul modo poi che si trovassero abbandonate, perdute o naufragata od altro, lascio al lettore il rintracciarlo”. (G. CRISTI, op. cit., p. 107)
6) Rivista italiana di Numismatica e scienze affini, vol. CXVIII, 2017, Milano, pp. 191-193.
7) Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, manoscritto, parte III, Carte di Lino Sighinolfi – busta 1, fascicolo 11.
8) MARIO ROSARIO ZECCHINO, Spigolature numismatiche da carteggi inediti dell’Archivio storico dei Musei Civici d’Arte antica di Bologna, Rivista Italiana di Numismatica (RIN), 118 (2017) pp. 191-193.