San Martino 1910: Sebastiano Schiavon e il “caso Nichele”
Il politico e sindacalista padovano si schierò sempre in difesa dei diritti dei più poveri e diseredati
Il giorno di San Martino, 11 novembre, è una data importante per la vita contadina fin dai tempi antichi. Infatti per tradizione scadono i contratti di affitto, di mezzadria dei terreni agricoli e anche i contratti dei salariati, la manodopera necessaria in gran numero quando i lavori agricoli non erano meccanizzati.
Nelle campagne quindi a San Martino si poteva essere riconfermati, nel qual caso si continuava a svolgere il proprio lavoro sicuri fino all’11 novembre dell’anno successivo. Se però il contratto per qualsiasi motivo non veniva rinnovato, bisognava andarsene. Questa ricorrenza faceva sì che si verificassero vere e proprie migrazioni di intere famiglie costrette a trasferirsi da un appezzamento all’altro, portando via le proprie povere masserizie con carri agricoli trainati da cavalli o buoi.
Nel 1910 anche a Galliera Veneta, per i contadini, la vita trascorreva con i problemi di sempre, cioè gli sfratti nel periodo di San Martino. E a uno di questi si riferisce il “caso Nichele”. È necessario precisare che, tra i soci dell’Unione professionale di Cittadella, fondata nel 1909 da Sebastiano Schiavon, ci fossero anche i membri della famiglia Nichele di Mottinello di Galliera che, da 150 anni, gestiva una proprietà di 48 campi del conte Agostinelli-Parolin di Bassano del Grappa. Ora i Nichele, come tanti in questo periodo dell’anno, chiedono che venga riformato il contratto di mezzadria, ma il proprietario non ne vuol sapere e insiste nella decisione di allontanare l’intero gruppo familiare composto da 24 persone. Vano è l’interessamento dell’Unione, vana l’opera di convincimento del Prefetto, del Sindaco e dei Carabinieri: il proprietario è irremovibile nel volere lo sfratto fissato per il 20 dicembre 1910. E il momento è così grave per la zona di Cittadella e della vicina Galliera che il Prefetto di Padova scrive una lettera riservata-personale al Presidente del Consiglio dei ministri, in cui mette a fuoco la pericolosità della situazione che potrebbe precipitare verso probabili violenze sociali. Viene chiesta allora la presenza del professor Sebastiano Schiavon. E lui spinto dalla sua coscienza giunge da Firenze, dove si era trasferito con la famiglia quale dirigente dell’Unione Popolare, per contribuire alla soluzione del problema. Infatti il giorno dello sfratto, il 20 dicembre, parla all’immensa folla, circa ventimila persone, raccolta attorno alla casa dei Nichele e invita alla calma, al rispetto della legge anche quando questa possa sembrare ingiusta, sostenendo che tutti sono sotto la protezione sua e del Commissario di pubblica sicurezza. Un gruppo di sbandati però provoca atti di violenza e, di conseguenza, il presidente dell’Unione professionale con un suo consigliere e i Nichele stessi sono arrestati ed accusati di associazione a delinquere.
Appena venuto a conoscenza dell’accaduto Schiavon si presenta ancora dal Commissario, dichiarando di essere pronto ad assumersene tutta la responsabilità nei confronti della giustizia. Il rappresentante della pubblica sicurezza deve però riconoscergli che non merita alcun rimprovero, ma ampia lode per l’opera di pacificazione compiuta. E, in attesa del processo, il professore opera perché la difesa degli imputati venga assunta gratuitamente da valenti avvocati di Padova, tra i quali l’avvocato Cesare Crescente, futuro sindaco di Padova. Nel frattempo si decide di effettuare lo sfratto, il 30 dello stesso mese, in modo che si calmino le acque. Così, con il suo innato attivismo, Schiavon si concentra sui Nichele ricercando per loro una nuova sistemazione e un lavoro. Per questo il 23 dicembre, a Camposanmartino, incontra nella sua villa il commendator Ernesto Breda per trattare l’affitto di una campagna. Alla vigilia di Natale, per lo stesso motivo, si reca a Milano. Già il 28 dicembre è risolto il problema dei Nichele: circa 100 persone con dei carri li aiutano a trasferirsi in una nuova casa, vasta e salutare, affittata provvisoriamente nelle vicinanze di Mottinello.
Tale vicenda, l’11 gennaio 1911, lo stesso Sebastiano Schiavon la riporta in un articolo su La settimana sociale, organo dell’Unione popolare di Firenze, dal titolo “Organizzazione ed azione democratica-cristiana fra i lavoratori della terra e i recenti fatti di Cittadella”.
Da questo lungo resoconto, dal quale estrapoliamo solo alcuni capoversi, si può capire il pensiero del professore-sindacalista padovano sulla situazione nelle campagne venete all’inizio del secolo scorso: “… miserie causate da evidenti e detestabili ingiustizie sociali ne abbiamo trovate tante, tante! Casolari e case inabitabili e peggiori delle stalle, perché a certi padroni sta più a cuore il grasso di un bue che la vita di un povero paria di contadino: patti colonici fatti secondo i canoni del più oscuro Medio Evo ed importati dalla Rivoluzione francese e mai migliorati; salari ai bovai, ai braccianti fissi ed avventizi, alle donne inumani e affamatori: conseguentemente una vita antigenica fra stenti, privazioni e… pellagra…
L’unico rimedio che egli suggerisce è “… l’organizzazione, la quale può apportare vantaggi solo quando è bene guidata, secondo i principi di una vera democrazia-cristiana, con una valutazione esatta del dovere e dei diritti degli organizzati, rispetto agli altri individui ed alle altre classi; e si metta, d’altra parte, in mente che le Unioni professionali non si fanno per burla, per darla intendere nella prossimità delle elezioni o per paura di una invasione da parte degli avversari o, se questa è già avvenuta, per distruggere tutti gli effetti, che può avere prodotta e per… lasciar poi ogni cosa a dormire per accondiscendere a desideri di qualche signorotto… cattolico?… magari fabbriciere a vita della Parrocchia!! Le Unioni professionali devono, nel campo vastissimo della giustizia e della carità e nell’orbita delle patrie leggi, gradatamente ma con costanza e con prudenza raggiungere il loro scopo grandioso: l’elevazione morale e materiale dei soci. Non si devono promettere cose irraggiungibili od irrazionali, ma solo quanto si può o si deve ottenere e questo perché non dobbiamo imitare i socialisti ma dobbiamo compiere tutto il nostro dovere coll’evitare delle amare disillusioni, delle rovine, delle diserzioni… delle Leghe e della Fede! Colla conoscenza del terreno, sul quale si doveva seminare, chi scrive insieme con altri amici ha iniziato e condotto a buon punto la organizzazione dei lavoratori della terra nel Padovano…”.
Infatti Schiavon continua nel suo articolo… “pochi mesi prima del caso Nichele in Cittadella e si diffuse tosto in tutto il circondario ed in parecchi altri paesi delle Diocesi di Padova, Vicenza e Treviso. Sorsero numerose Unioni professionali e Leghe tra i lavoratori della terra, le quali nel 15 maggio del 1910 in un importantissimo comizio pubblico, (più di 20000 persone), tenuto a Cittadella si costituirono in ‘Sindacato fra i lavoratori della terra’. Sindacato che ha la sua presidenza interdiocesana e ha fondato un organo proprio mensile, intitolato ‘Il lavoratore della terra’. Gli amici continuano a lavorare con entusiasmo e con zelo per rendere sempre più forte la istituzione, che da regionale, speriamo presto, mercé la cooperazione delle altre province venete ed italiane, possa diventare nazionale”.
Sogno che purtroppo non sarà in grado di attualizzare, per la sua morte precoce e per l’avvento del fascismo.
Renato Guttuso, Contadini al lavoro