Ariano nel Settecento: la difesa degli argini

L’editto del cardinal legato Marcello Crescenzi, nel 1745, per proteggere il territorio dalle acque

Marcello Crescenzi, legato di Ferrara, varò l’8 gennaio 1745 un corpus organico di regole riguardanti la costruzione, la manutenzione, la sorveglianza e la difesa degli argini del Po di Ariano e di Corbola, rimasto a lungo un riferimento normativo per la comunità e il consorzio dei proprietari terrieri, una sorta di carta costituzionale della cultura idraulica del tempo.

Principali disposizioni emanate

I nuovi manufatti arginali erano da costruire sotto il controllo del giudice d’argini, su di un terreno prima vangato e arato, senza aggiungere legni, pietre o materiali di altra natura alla terra. La Congregazione alle acque di Ariano e il sovrintendente ai lavorieri ne stabilivano dimensioni e caratteristiche.

L’altezza degli strati deposti e compattati non superavano un piede (40,38 cm) se gli operai usavano le carriole; non superavano due piedi se utilizzavano le berozze (speciali carretti aperti di sopra e dietro), affinché la terra fosse ben posta, fissata e assodata. Innalzandosi gli argini, per ogni piede in verticale la scarpa doveva misurare il doppio. Si prelevava la terra a una distanza superiore a 121 metri dall’argine verso la campagna e non inferiore a 6 dalla parte del fiume, eccezion fatta per i froldi (punti particolarmente esposti all’impeto della corrente) dove la distanza di rispetto era quasi triplicata. Vietato tenere i maiali al palo a meno di quattro metri; depositare canna, graticci, letame, pascolare gli armenti sopra e dietro gli argini.

Le persone vincolate a prestazioni lavorative per la manutenzione degli argini dovevano soddisfare l’obbligo entro il mese di luglio, pena il pagamento di un riscatto. Lo stesso principio si applicava alle giornate di lavoro a carico dei braccianti. I proprietari, entro un mese dall’entrata in vigore del decreto, dovevano otturare i fossati distanti dai 4 ai 6 metri dietro gli argini maestri, delle golene e dei froldi. Assolutamente vietato tenere fossi o scavarne di nuovi in luoghi sabbiosi. Lo scorrimento delle acque degli scoli pubblici veniva assicurato dall’obbligo di sgarbare e nettare gli argini almeno due volte l’anno nei mesi di maggio e agosto e dal divieto di piantare grisole e altre arti di canna.

Le pene per i trasgressori venivano estese anche ai giudici d’argine compiacenti. I proprietari delle golene in tempo di piena, quando il livello del fiume si alzava più di 25 centimetri, dovevano immediatamente tagliare e abbattere gli arginelli di protezione. Se invece l’acqua raggiungeva un livello inferiore, potevano difendere le golene arginandole. Gli argini a fronte Po dovevano essere larghi in cima almeno 4 metri, con la loro scarpa, e alti secondo quanto disponeva il sovrintendente, lasciando le restare (vie alzaie, riservate ai cavalli per il traino delle barche) larghe almeno due metri. Le golene, una volta regolarizzate a spese dei proprietari, passavano sotto la responsabilità e la custodia dei giudici d’argini i quali decidevano gli interventi necessari.

Nessuno “dovrà far carreggiate, calate (discese), montate (rampe), o sentieri davanti ai froldi e volendo farle dietro ai froldi, o in altro argine comune del Po, non possa farle, se non per quel modo e via che ordinerà il sovrintendente al lavoriere degli argini”.

Chi avesse ottenuto la licenza, era obbligato a rispettare l’integrità dell’argine in ogni sua parte, “sotto pena di scudi 25 tanto a chi contraffarà, quanto al giudice d’argine tollerante”.

Per la guardia durante le piene, il legato ordinava ed espressamente comandava ad ogni e qualunque persona d’ogni stato e condizione

“… la pronta ubbidienza agli ordini emanati dalla diligenza, accuratezza e prudenza di chi sarà da Noi o dai Nostri Successori deputato alla sovrintendenza della guardia. E perché siano pienamente informati di quanto ha prudentemente disposto chi è stato ultimamente deputato nella piena del mese di novembre 1725, nell’assegnare ad alcuni interessati (proprietari) e persone abili tutta l’arginatura d’Ariano, per averne ciascuno una parte in custodia ed attenzione, perciò nell’approvare quanto sopra ciò è stato stabilito, vogliamo ed espressamente comandiamo che gli Interessati e le persone, come sopra distribuite, debbano dimorare, sia di giorno come di notte, nei siti destinatigli; e vigilare che gli uomini che saranno assegnati alla guardia nei siti medesimi facciano il loro dovere, con rendere ragguagliato (informato) il deputato alla sovrintendenza della guardia di quei disordini e pericoli che potessero occorrere, sotto pena della Nostra indignazione”.

Nel momento in cui scattava l’obbligo della guardia, contadini, braccianti e castaldi di età compresa tra quattordici e cinquant’anni dovevano immediatamente accorrere agli argini del Po con strumenti da lavoro, carriole e berozze, provvisti di mannaie, mazzi (martelli pesanti dal manico lungo), paletti, badili, canape e stuoie e costruire i casoni nei luoghi stabiliti. Non essendo i lavoratori della terra sufficienti per vigilare l’intera asta arginale a rischio di rotte per la presenza di numerosi froldi particolarmente soggetti ad erosione “vogliamo che debbano essere assoggettati alla guardia anche gli artisti (artigiani) con gli attrezzi suddetti e tutte le persone capaci e abili anche cittadini, nell’impiego che sarà loro imposto dal sovrintendente della guardia; dalla quale non dovranno allontanarsi né di notte né di giorno senza permesso”. Tutti i cittadini, gli artigiani e i contadini obbligati a prestare servizio di vigilanza agli argini avevano licenza di portare “ogni sorta di armi, sì offensive come difensive, eccettuato le proibite, sì nell’andarvi come nel ritornare”.

I proprietari dovevano dotarsi di berozze in misura pari al numero degli aratri posseduti e utilizzati nei propri fondi, lunghe ciascuna due piedi e mezzo, larghe due, ed alte un piede (m 1,0095 – cm 80,76 – cm 40,38). I giudici d’argine dovevano rendere inservibili le berozze di dimensioni irregolari. In caso di mancato adempimento, giudici e possidenti erano soggetti alla pena di dieci scudi e di altre maggiori. Due terzi delle sanzioni pecuniarie inflitte a trasgressori e delinquenti erano destinate alla Cassa dei Lavorieri e un terzo al delatore o al denunciante, il cui nome volendo, sarà tenuto segreto.

Marcello Crescenzi (Roma 1694 – Ferrara 1768), appartenente a una nobile famiglia romana, conseguì la laurea in diritto canonico e civile. Nominato arcivescovo nel 1739, fu nunzio apostolico in Francia. Benedetto XIV lo creò cardinale nel 1743. Clemente XIII gli affidò l’incarico di legato della legazione di Ferrara (1743-46), poi rinnovato per altri 6 anni (1761-66) per le sue ottime capacità di governo Fu eletto nel 1746 arcivescovo di Ferrara. Morì all’età di 73 anni lasciando tutti i suoi beni ai poveri. Venne sepolto nella cattedrale arcivescovile della città.

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