La riforma del Consiglio comunale di Ariano, 1750
L’editto del legato pontificio Camillo Paolucci
Nonostante le severe norme emanate il 6 febbraio 1724 da Giovanni Patrizi per rendere efficiente e trasparente il governo della cosa pubblica, il cardinale legato Camillo Paolucci, recatosi a visitare nel 1750 la comunità di Ariano, ebbe modo di constatare direttamente insufficienze e limiti. I consiglieri, appartenenti alle persone più plebee del Luogo, operavano in modo superficiale, come dimostrava la tenuta della contabilità pubblica, tanto intricata e confusa che gli ispettori non erano riusciti ad effettuare il previsto controllo. Di qui la decisione di riformare la composizione del consiglio e di introdurre un più rigoroso sistema di regole. Vediamo quali.
Consiglieri stabili e amovibili
Il nuovo consiglio comunale di Ariano sarebbe stato composto da dodici persone benestanti e civili (in possesso di particolari capacità), designate dal legato in proporzione al numero degli abitanti delle comunità di Ariano e Santa Maria.
“Di due ordini di persone dovrà esser composto in avvenire il Consiglio. Il primo, di numero dodici consiglieri dei più benestanti e civili d’Ariano, e tre di Santa Maria, cioè nove di Ariano, e tre di Santa Maria, i quali dovranno essere stabili…”.
Alcuni consiglieri, in possesso dei requisiti indispensabili al buon amministratore, dimoravano stabilmente ad Ariano ma non ne avevano assunto la cittadinanza. La designazione a consigliere non comportava l’automatica attribuzione dei diritti di cui godevano i cittadini arianesi, ma solo i doveri connessi con tale funzione. Questa precisazione mette in luce l’importanza, radicata nel sentire comune prima che nelle regole statutarie, dell’appartenenza formale oltre che sostanziale alla comunità per poterla degnamente rappresentare.
“E perché, attesa la scarsezza dei cittadini idonei e capaci per l’esercizio di consigliere, si è dovuto destinare a tale carica diversi soggetti, i quali sebbene abbiano una particolare abilità per il maneggio delle pubbliche ingerenze, e dimorino da molti e molti anni a questa parte in Ariano, dove hanno stabilito il loro domicilio con essersi ivi accasati, non hanno pur nondimeno mai curato di assumere la cittadinanza; non si dovrà per tale motivo intendere che, attesa la loro destinazione alla carica di consigliere, debbano godere di alcuno di quei privilegi che competono solo ai Cittadini, ma che unicamente debbano rimanere abilitati all’esercizio della carica di consigliere e ad ogni altra che, secondo la disposizione dei presenti capitoli, e regole, si devono esercitare dai soli consiglieri…”.
È in vigore un vero e proprio diritto di investitura trasmissibile ai primogeniti maschi legittimi e naturali, che viene meno o per naturale estinzione della generazione o per comportamenti moralmente deplorevoli oppure per la perdita di status, per cui anche al consigliere possidente la sorte poteva riservare di doversi piegare alla necessità del lavoro manuale (arte meccanica sembra escludere l’esercizio di mestieri del basso popolo). Per la surroga, poche e chiare disposizioni: una persona appartenente al medesimo ceto sociale che disponga di un capitale di almeno 500 scudi, l’assenso del legato, un’attenzione privilegiata agli esponenti del medesimo casato. L’ereditarietà delle cariche, di modesto rilievo come nel nostro caso, è assimilabile alle garanzie presenti nell’asse ereditario nobiliare. Resta da accertare il grado di appetibilità e del gradimento delle cariche. Il tono perentorio del legato fa pensare più ad un dovere da accettare, che ad un’opportunità personale desiderabile.
“Mancando i suddetti consiglieri stabili, o alcuni di essi, si dovrà surrogare ai medesimi i loro figlioli primogeniti legittimi, e naturali, fintanto che per retta linea durerà la loro legittima discendenza, ed estinguendosi, o benché non estinta, decadendo in bassa fortuna in modo che sia necessitato alcuno di detti consiglieri, o loro discendenti ad applicarsi all’esercizio di qualche Arte meccanica, ovvero conducendo vita oziosa, dia saggio di persona malvivente, e scandalosa; dovrà in tal caso convocarsi il Consiglio Generale, e da esso procedersi alla destinazione di altro soggetto idoneo delle famiglie più benestanti, e civili, che possieda almeno il capitale di scudi cinquecento; e riportata la permissione dell’Eminentissimo Legato surrogarlo in luogo dell’ultimo defunto senza discendenza, ovvero dei suddetti mendichi, o scandalosi, e di depravato costume, avvertendo che si debbano sempre anteporre li trasversali del medesimo casato (i parenti collaterali), quando ve ne siano di abili, e che abbiano le stesse condizioni di sopra espresse”.
L’erede della carica di consigliere, se minorenne, non poteva esercitare l’ufficio. In attesa di raggiungere la maggiore età, lo sostituiva un consigliere provvisorio, individuato in base ai requisiti posseduti, privilegiando i legami di parentela con il defunto.
“Li figlioli, o posteri, che succederanno ai suddetti consiglieri stabili, non avranno voto in Consiglio, finché non siano fuori di minore età, e frattanto si dovrà supplire con eleggersi dal Consiglio una persona da approvarsi dall’Eminentissimo Legato pro tempore, che abbia i requisiti necessari, da cui si assumerà provvisoriamente la carica di Consigliere in luogo del minore, che poscia fatto maggiore, escluso il surrogato dovrà intraprendere l’esercizio della propria carica, avvertendosi che nell’eleggere la persona, che eserciti nel tempo intermedio, come sopra, dovrà aversi similmente riguardo di preferire i parenti più prossimi, o quelli della medesima famiglia del defunto, purché concorrano in essi i requisiti”.
Oltre ai consiglieri stabili, troviamo gli amovibili. Questo secondo gruppo viene scelto di anno in anno fra i capi famiglia che esercitano un mestiere autonomo (artisti), in possesso del requisito della buona condotta, di una non meglio precisata attitudine all’amministrazione e della capacità di leggere e scrivere, (quest’ultima limitata ad abilità assai modeste, considerata la situazione effettiva della scolarizzazione e l’inevitabile analfabetismo di ritorno). I consiglieri stabili estraggono, da urne separate, contenenti i dati anagrafici di tutti gli individui giudicati idonei e precedentemente selezionati, cinque nomi in rappresentanza di Ariano e due di Santa Maria. È questa la componente, per così dire, popolare. Nessuna possibilità per i villici o i braccianti, neppure nominati.
“Oltre li suddetti consiglieri stabili, se ne dovranno destinare altri sette amovibili di anno in anno, cioè cinque di Ariano, e due di Santa Maria, i quali dovranno essere dell’ordine degli artisti di buon costume, che sappiano leggere e scrivere, e siano capaci di consiglio, e dell’amministrazione dei pubblici interessi. Perché non si possa dubitare che i suddetti possiedano le sovraesposte condizioni, vogliamo che, convocati unitamente i consiglieri stabili nella solita sala del Consiglio, facciano la nomina ed elezione di tutti gli artisti, tanto di Ariano che di Santa Maria, capi di famiglia considerati più idonei, e che sappiano leggere e scrivere, e notando in bollettini nomi e cognomi dei nominati, si pongano in una bussola quelli di Ariano, e nell’altra quelli di Santa Maria, dalla prima delle quali dovranno cavarsi a sorte ogni anno cinque di detti bollettini, e dalla seconda altri due, e così seguiterà detta estrazione di anno in anno, da dette bussole, fintantoché saranno estratti tutti i bollettini, e finita tale estrazione si rimetteranno i medesimi nelle stesse bussole per successivamente seguitare l’estrazione nel modo già detto”.
Per concludere, 19 persone componevano il nuovo consiglio della comunità, dodici stabili e sette rinnovabili di anno in anno. In caso di morte prima dell’estrazione, “il più idoneo della famiglia del defunto dovrà essere imbussolato, per essere poi estratto a suo tempo, purché abbia i requisiti detti di sopra e, non essendovene, si dovrà supplire con imbussolare un altro artista idoneo dello stesso luogo dov’era il defunto, cioè di Ariano, se il defunto era di Ariano, e similmente di Santa Maria, se il defunto era di Santa Maria”. Da notare il rigoroso rispetto della rappresentanza proporzionale delle due comunità.
Funzionamento del consiglio
Il massaro, previo accordo con il governatore, la cui presenza era obbligatoria per la validità delle sedute, rendeva noto per iscritto luogo, giorno ed ora della convocazione, mediante avvisi da far pervenire in tempo utile a domicilio di tutti gli aventi diritto. Il 31 dicembre di ogni anno i consiglieri stabili si riunivano per procedere al rinnovo dei sette che avevano concluso il loro mandato. Il primo giorno del nuovo anno l’assemblea si riuniva al completo per eleggere, a scrutinio segreto: il massaro, primo cittadino, equivalente all’attuale sindaco; i consoli, da uno a tre, paragonabili agli attuali assessori; due revisori dei conti. Massaro e consoli appartenevano al gruppo dei consiglieri stabili. La rielezione nelle medesime funzioni era consentita dopo un periodo minimo di tre anni, per dar modo a tutti e a ciascuno di ruotare nelle cariche di maggiore impegno e responsabilità. Erano eleggibili invece a revisori dei conti anche persone esterne al consiglio, purché competenti e di indiscussa onestà. I neo eletti, per conoscere l’effettiva situazione amministrativo-contabile del comune e poter assumere iniziative di interesse pubblico, dovevano assistere all’operazione di rendiconto annuale del bilancio fra gli amministratori uscenti (massaro, consoli) e gli organi tecnici (esattore, tesoriere), con l’intervento dei revisori dei conti, presenti il governatore e il segretario.
Il consiglio veniva di nuovo convocato nel primo giorno festivo immediatamente successivo ai dieci giorni concessi per le operazioni di chiusura dei conti e di passaggio delle consegne. Compiuti questi adempimenti, l’organo era in condizione di operare. Tutti i consiglieri giuravano di osservare fedelmente la Bolla sul Buon Governo e l’Amministrazione dei beni delle Comunità dello Stato Ecclesiastico emanata il 15 agosto 1592 dal papa Clemente VIII, e le regole dello statuto lette ad alta voce dal segretario. Si procedeva quindi all’elezione delle cariche comunitarie: il cassiere; tre consoli alle vettovaglie (due per Ariano appartenenti al primo e al secondo ordine dei consiglieri di Ariano, uno per Santa Maria, tratto dai consiglieri di Santa Maria) preposti al controllo della vendita al minuto dei generi alimentari ed a stabilirne il prezzo; due stimatori di campagna per la valutazione della qualità dei terreni; un usciere; sei soprintendenti (due per ogni comparto), incaricati di esercitare attività di vigilanza e di controllo in settori di fondamentale importanza per la vita sociale: le strade, le acque, il fuoco. I consiglieri assenti senza giustificato motivo o semplicemente giunti in ritardo alle sedute dovevano pagare una multa di quattro scudi. Qualora avessero osato pronunciare parole indecenti o ingiuriose, minacciare o fare atti sconvenienti, sarebbero incorsi nella stessa sanzione ed in altre pene più gravi ad arbitrio del Legato. Le deliberazioni erano valide, fatta salva sempre la superiore convalida, se approvate da almeno tredici consiglieri presenti sui diciannove aventi diritto, cioè dalla maggioranza qualificata dei due terzi.

Camillo Paolucci nacque a Forlì il 9 dicembre 1692 da nobile famiglia. La madre era sorella di Fabrizio Paolucci, cardinale nel 1698 e segretario di Stato dal 1700, cui Camillo fu affidato. Diciassettenne, si traferì a Roma, dove ricevette una buona preparazione diplomatica presso la Pontificia Accademia. Il 4 novembre 1718 si laureò in diritto civile e canonico presso l’Università La Sapienza. Fece per quattro anni pratica di diritto nello studio di Prospero Lambertini, il futuro papa Benedetto XIV. L’aiuto dello zio fu decisivo per garantirgli la carriera ecclesiastica. Nel giugno 1727 “fu nominato nunzio straordinario in Polonia e il 2 agosto successivo nunzio ordinario nella stessa sede, dove si trovò a operare negli anni difficili della guerra di Successione polacca. Le qualità dimostrate nell’arco di un complesso decennio gli valsero la nomina alla nunziatura di Vienna, dove rimase dal 20 maggio 1738 al 20 ottobre 1745, un altro tempo difficile, caratterizzato dalla guerra di Successione austriaca. Paolucci era stato intanto creato cardinale da Benedetto XIV (concistoro del 9 settembre 1743), ma solo il 31 marzo 1746 poté ricevere la berretta cardinalizia. Dal 19 settembre 1746 al 7 dicembre 1750 “Paolucci fu legato a Ferrara (si trattava della legazione più redditizia tra tutte e che risultava sempre particolarmente ambita dai reduci di dispendiose missioni diplomatiche)”. Nell’ottobre 1747, venne colpito da emorragia cerebrale. Partecipò al conclave del 1758, dove fu eletto papa Clemente XIII. Morì a Roma l’11 giugno 1763. Fu sepolto nella chiesa romana di S. Marcello. Da Treccani, Dizionario Biografico degli italiani, vol. 81, (2014).

Frontespizio di un opuscolo che riporta la Bolla emanata dal papa Clemente VIII il 15 agosto 1592 riguardante le regole da seguire per la corretta amministrazione delle Comunità dello Stato pontificio