La guerra di Mario: il diario e le lettere del caporale Cusinato, limenese

Fu prigioniero a Rodi e a Taranto durante la seconda guerra mondiale

Mario Cusinato (1923-2015) è un ragazzo che viene chiamato alle armi a diciannove anni, nel settembre del 1942. La sua famiglia vive a Limena (PD), dove i suoi sono contadini. Lui però, diversamente dai coetanei, ha studiato oltre l’obbligo in seminario dai comboniani perché voleva farsi missionario, ma solo fino alla terza ginnasio, perché poi si è ritirato. Il fatto è di grande rilievo perché Mario, quando parte per la naia, è un ragazzo istruito, che sa scrivere bene in italiano, che ha studiato il latino. Un ragazzo che troverà nella diaristica un momento di riflessione su di sé, sul mondo militare, sull’esperienza che sta vivendo lontano da casa sotto le armi prima e in prigionia poi.

Scrive molto, quasi ogni giorno, con regolarità, almeno fino al mese di ottobre del ‘43, un diario e numerose lettere, delle quali è riuscito a tenere insieme una buona parte sia di quelle ricevute, dai famigliari e non solo, che delle proprie, recuperate una volta tornato a casa.

Assieme ad alcune foto di quel periodo e ad altri documenti cartacei, tutto questo materiale è oggi conservato con attenzione e affetto dalla famiglia, compresa la croce al merito di guerra di cui Mario è stato insignito nel 1962 per il servizio reso, per il ferimento del 9 settembre ‘43 e per la sua lunga prigionia. Tutta questa documentazione è stata pubblicata dal sottoscritto nel volume La guerra di Mario, Edizioni Imprimenda 2022.

E’ stata più volte ribadita l’importanza di simili diari, documenti di grande valore proprio perché non passavano sotto il vaglio della censura e che gli autori tenevano a proprio rischio e pericolo. I tedeschi, ad esempio, arrivavano a punire fino alla fucilazione chi veniva scoperto. Mario perciò durante la lunga prigionia a Rodi non scriverà proprio niente per il periodo ‘44-45 e riprenderà a farlo con insistenza solo durante i cinquanta giorni di reclusione a Taranto sotto gli inglesi, riportando però anche importanti riferimenti a quel periodo di prudente ‘silenzio’ vissuto a Rodi.

Il suo diario va dunque dal 6 novembre 1942 al 7 agosto 1945. Pagine e pagine di testo che è un miracolo si siano conservate in tutti questi anni. Merito suo innanzitutto, ma anche della famiglia. I supporti sono due quaderni a righe e due taccuini che ha custodito e nascosto con cura durante la guerra e dopo, e che i famigliari hanno sempre considerato come qualcosa di prezioso e sui quali -dicono- Mario ritornava spesso, per rileggerli e per raccontare in casa le vicende della sua guerra e della sua prigionia.

Questi suoi scritti costituiscono una testimonianza diretta di quel periodo, annotata quasi quotidianamente, testimonianza che proviene dal basso, da un caporale, attraverso la quale ci giungono idee e sentimenti che dovevano essere comuni a gran parte dell’esercito italiano in guerra e poi finito nei campi di concentramento dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Mario Cusinato si rivela un ragazzo pio e devoto, che ha sempre a cuore le sorti di casa, dalla salute della mamma all’andamento del raccolto. Chiede continuamente notizie del fratello Antonio, maggiore di due anni, anche lui combattente in Corsica. Non gli interessano però più di tanto le vicende belliche né il destino dell’Italia. Desidera solo che la guerra finisca al più presto, vinta o persa non importa.

In diverse occasioni traspare un sentimento di opposizione a Mussolini e al Re che considera responsabili dello sfacelo in cui è andata a finire l’Italia. Nelle lettere ovviamente non lascia trapelare nulla di questi sentimenti, perché passavano sotto censura, ma nei diari ha il coraggio di dire chiaramente ciò che pensa, rischiando parecchio. E Mario, pur cattolicissimo, nutre anche simpatie per il comunismo. Lo si legge sia nel diario che nelle lettere che invierà all’amico tedesco Kurt nell’immediato dopoguerra, anche se sembrano solo idee giovanili, che infatti, finita la guerra, non coltiverà.

Durante la naia gli sono di peso le marce, le esercitazioni, le istruzioni, ma in compenso va spesso al cinema. Non frequenta il bordello come i suoi commilitoni, fuma spesso, soprattutto ha sempre tanta fame e non vede l’ora che arrivi la pace per poter tornare a casa. In tre anni ci ritorna per Pasqua nell’aprile del ’43 e sarà la sua unica licenza.

Il caporale Mario Cusinato è finito due volte in campo di concentramento. La prima sotto i tedeschi a Rodi, dopo l’8 settembre, e poi a guerra conclusa a Taranto sotto gli inglesi, dai quali fu trattato decisamente peggio.

Ha rischiato la vita in diverse occasioni, rimanendo anche ferito a una gamba, ma lui non ha mai ucciso né sparato a nessuno. In casa, anzi, si vantava di aver imparato a imbracciare a mala pena un moschetto, moschetto che infatti abbandonerà dietro un albero a Rodi al primo scontro con i tedeschi, episodio descritto dettagliatamente nel Diario.

Durante la prigionia a Rodi conosce Kurt Bachmann e tra i due nascerà fin da subito una grande amicizia, che continuerà anche dopo la guerra. Kurt è più vecchio di lui, ha trentasei anni e un figlio, Siegfried, sul fronte russo che possiamo immaginare anche più giovane del ventenne Mario. E per Mario questo soldato della Wehrmacht sarà più un padre che un fratello maggiore. Kurt gli passa cibo di nascosto e in abbondanza e così Mario non soffre quella fame che invece patirà terribilmente sotto gli inglesi. Con Kurt si intrattiene volentieri e forse è a lui che Mario confida le sue idee ‘rivoluzionarie’. Kurt sì che è comunista e, diversamente da Mario, rimarrà tale anche dopo la guerra, quando tornerà a vivere con la famiglia nella Germania Orientale occupata dai sovietici.

Da soldato o da prigioniero, Mario Cusinato è stato a Trento, a Pontecagnano, ad Atene, a Rodi, a Taranto. È ritornato a casa nell’agosto del 1945, provato e malato.

I famigliari raccontano che non riusciva a mangiare e che prendeva sonno solo rimanendo seduto su una sedia, perché da sdraiato sul letto non ce la faceva proprio. Raccontano anche che la pelle, al contatto con la canottiera, spesso gli si staccava.

La guerra l’ha tenuto lontano da casa per tre interminabili anni; ha rischiato di venire ucciso più volte (dai bombardamenti aerei a Pontecagnano, dai siluri britannici nel Mediterraneo, dalle pallottole tedesche del 9 settembre ‘43) e di finire in fondo all’Egeo se fosse stato imbarcato dai tedeschi a Rodi; si è preso la malaria e la scabbia; ha patito a lungo fame e sete; soprattutto si è fatto due interminabili anni di prigionia, proprio nel cuore della giovinezza.

Questa è stata la guerra di Mario, del quale affiora spesso anche una sorta di antimilitarismo e di antieroismo (che non dovevano di certo essere solo suoi) in un conflitto sempre odiato e rifiutato e di cui aspettava solo la fine.

Mario Cusinato, uomo istruito e colto, è morto nel 2015, all’età di novantadue anni. Nella vita ha fatto il contadino e poi l’operaio in fabbrica a Limena, continuando però ad avere cura di un orto ampio e sempre ben tenuto. In paese e in parrocchia è sempre stato stimato e rispettato per la fede profonda e per la rettitudine morale.

Chi scrive può ben sostenerlo, avendolo anche personalmente conosciuto.

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