Ariano nel Settecento: un processo per aver trasgredito al precetto festivo
Continuiamo a pubblicare gli “appunti storici” polesani che il nostro collaboratore, molto affezionato a Il Popolo Veneto, ci aveva affidato poco prima della sua scomparsa. Qui si parla di un processo, nel 1791, contro bottegai, osti e giocatori, rei di non aver rispettato le indicazioni relative ai “divini offici”
Il 1 giugno 1791 il bargello Antonio Baroni (preposto al servizio di gendarmeria e capo degli sbirri) riferì al tribunale di Ferrara: molti bottegai e osti di Ariano, incuranti dei ripetuti ammonimenti, tenevano aperti i locali nei giorni festivi mentre si svolgevano i divini offici. Il cancelliere vescovile gli ordinò di procedere senza indugio contro i trasgressori.
Il bargello dispose un’ispezione a sorpresa durante le solennità di Pentecoste. Identificò varie persone colte sul fatto a giocare nelle osterie, sequestrò le carte e le bocce, corpi di reato. Segnalò e multò, secondo la gravità dell’infrazione, i violatori delle norme sul bando delle feste. A cinque bottegai, tre barbieri e un calzolaio la pena più lieve (tre scudi) per aver tenuto aperta la bottega. Sanzione di 5 scudi a tre osti, altrettanti magazzinieri, due caffettieri e un venditore di rosolio. Antonio Milani pagò una multa di 10 scudi per aver somministrato le bocce a vari giocatori nella sua osteria, tre dei quali esercitavano il mestiere di spròcano (venditore ambulante di pesci, da spròc, spuntone utilizzato per infilzarli dalla branchia alla bocca). Sanzione di 10 scudi a carico degli osti Girolamo Brugnoli, Nicola Ariosi detto Figurina e Domenico Rigoli, denunciati al tribunale per aver distribuito vino, bocce, carte e partecipato al gioco del tressette. Tra i giocatori, 4 ciabattini, 2 spròcani, 2 sarti, 2 barcaioli, un tintore, un barbiere, un carradore, un facchino. I loro mestieri identificano un gruppo sociale che non si curava di frequentare la chiesa e tanto meno di santificare le feste. Non lo compongono braccianti o coltivatori, ma in prevalenza artigiani, generalmente più inclini all’autonomia di scelta e di giudizio.
Il 18 giugno il bargello comunicò al tribunale vescovile i nomi dei giocatori, dei bottegai che avevano tenuto aperto gli esercizi in tempo di messa cantata e dei testimoni chiamati a deporre. Un mese dopo inviò le citazioni criminali a una ventina di trasgressori a vario titolo al precetto festivo facendo sapere, tra le righe, di aver informato con discrezione alcuni di loro della possibilità di appellarsi alla clemenza del cancelliere. Il bargello non dimostra alcun accanimento verso le persone coinvolte. Di fronte a qualche situazione umanamente difficile invoca la comprensione del suo superiore per un aggiustamento bonario:
“Antonio Cavallari, già inquisito per il gioco del Piccolino, mi ha pregato e fatto pregare di vedere se vi sia possibilità di rimediare. Mi rivolgo dunque a V.S. pregandola di trattare il di lui accomodamento, sapendo che Ella ne ha tutta la facoltà, essendo questo disgraziato carico di creature, e bisognose di sollievo. Mi raccomando a V.S., affinché quella povera famiglia non vada raminga per il mondo”.
Valutate le testimonianze e la gravità dei reati, l’ufficio istruttore inviò i precetti di comparizione dinanzi al tribunale all’oste Nicola Ariosi detto Figurina, al bottegaio Francesco Lamberti, ai testimoni e ad altri personaggi di secondo piano. Il bargello li notificò tramite uno sbirro anziché direttamente. Era poco probabile che i testimoni si fossero presentati volontariamente, dato che nel paese chi andava a deporre era considerato e trattato da spia. In ogni caso era opinione comune che tutti si sarebbero dichiarati smemorati, pur avendo anch’essi giocato a carte o a bocce in varie occasioni.
Testimoni bastonati e minacciati
Il processo si apre a Ferrara il 2 agosto 1791. Il bargello attesta: l’imputato Nicola Ariosi detto Figurina aveva percosso nella sua osteria Giuseppe Falavera e Giuseppe Benedetti, entrambi testimoni. L’8 agosto si procede all’esame dei fatti. Giuseppe Benedetti, parte lesa, dichiara: Angelo Calegaro, dipendente del Luppi, lo aveva bastonato sulla faccia col pretesto di “aver fatto spargere un po’ di semi di rape che il Calegaro teneva in un fazzoletto”. Accusa, come complici armati di bastone, Giovanni Grignanini e un dipendente del Luppi di cui ignorava il nome. Mostra la ferita, medicata dal chirurgo Stefano Battara, e cita come testimoni oculari Giovanni detto Galetto, Maria Casetta e la moglie di Angelo Girotti. Causa del pestaggio? Essere stato esaminato come teste contro Giuseppe Luppi “per il bando delle Feste perché, percuotendolo, il Calegaro gli dava della spia, e anche perché otto giorni prima era stato strapazzato da Bernardo Remari, altro uomo di bottega del Luppi, per la stessa cagione”.
Giuseppe Falavera dichiara: “Nicola Ariosi mi ha percosso con più colpi di bastone dopo avermi gettato a terra e minacciato con una mannaia nel suo magazzino”. Movente dell’aggressione “l’essere stato egli esaminato a Ferrara per la contravvenzione al bando delle Feste, perché ognuno lo chiama spia, e lo accusa di aver fatto offesa speciale al Figurina”. Incolpa anche Guglielmo Guglielmini “di averlo tacciato da spia e galeotto in pubblico Caffè, e minacciato di farlo gettare in Po dentro un sacco se lo avesse trovato in giro di notte”.
I testimoni delle parti lese confermano sostanzialmente le dichiarazioni. Maria Casetta aveva veduto i picchiatori girare armati di bastone mentre dicevano tra loro: Questa sera o uno, o l’altro ha da andar morto. Ma nel prosieguo del dibattimento alcuni manifestano varie perplessità. Uno esclude che le percosse abbiano a che fare con il processo. Un altro mette in dubbio la causa della rissa. Un altro ancora afferma di non conoscere i picchiatori. Le testimonianze non vennero considerate sufficienti a condannare gli imputati. Il tribunale si riservò di convocare altri testimoni. Non sappiamo, ma possiamo immaginare, quale fu la sentenza.