Il Gruppo Tata a Padova: una proposta artistica tra amicizia e riflessione sociale

Prolegomeni

Anni ’80. Il reflusso: i movimenti radicali erano già in crisi sistemica. Andavano di moda le febbri del sabato sera e il Post-Moderno. Diseredato com’ero, con le tasche piene, ma non di denari, cercavo uno sbocco occupazionale, che avrei voluto creativo. Laureato in Architettura, mi aggiravo per la città, con una cartella di disegni: erano i prototipi di quella raccolta che sarebbe diventata l'”Abbecediere”, “segnali disattesi” come reciterà la presentazione di Floriana Rigo, edito da Tatoy. Ricordo l’incontro con Ennio Chiggio e Giulia Laverda (1), ai margini di Piazza Insurrezione a Padova: tutti ciclo muniti accostammo e mostrai quanto stavo realizzando. Circa un lustro prima Ennio Chiggio e Manfredo Massironi avevano suonato al mio recapito di via Dorighello, presso il Quartiere Egidio Forcellini a Padova per chiedere di guidarli in ricognizione territoriale: essendo iscritto allo IUAV ero considerato il più esperto di questioni urbanistiche del Comitato che allora dava vita nel quartiere alle lotte sulla pianificazione, oltre a quelle sui servizi e beni pubblici. Era gratificante che due dei protagonisti (2) della stagione più alta dell’Arte italiana del dopoguerra mi cercassero per avere una consulenza. Quei tempi erano però finiti. Nonostante ciò frequentavo con una certa regolarità Manfredo e la moglie Franca Sartorati che accoglievano giovani e meno giovani nel loro salotto, dove si discuteva di arte e politica; i rapporti invece con Ennio Chiggio erano molto più saltuari: avevo fatto poche visite al suo atelier che allora si trovava in via Carlo Dottori. Ennio Chiggio collaborava “lateralmente” allo studio dei fenomeni dell'”operaio sociale” e della “fabbrica diffusa”, fatto dai docenti della Facoltà di Scienze Politiche sotto la guida del professor Antonio Negri. In uno di questi incontri uscii con un faldone dattiloscritto di Ennio sul lavoro domestico, che per la verità, non mi colpì particolarmente, essendo poco più di una lettura delle teorie svolte dalla Scuola Razionalista di Francoforte degli anni ’20 del secolo scorso. Eppure era seduttivo sentirlo affabulare sull’arte.

L’incontro in Piazza Insurrezione fu il preambolo di una lunga frequentazione. E di amicizia. Il progetto che Ennio mi propose era piuttosto interessante: creare un gruppo di lavoro nelle contaminazioni tra Arte, Architettura e Design. Una produzione in progress, sia dal punto di vista delle idee, che nell’esecutività delle opere. Penso infatti che nella stessa testa di Ennio, il punto di arrivo mancasse nella fase preliminare; con Giulia Laverda aveva pensato a qualcosa di più modesto, anche se per Padova era comunque una scommessa azzardata: la creazione di una galleria d’Arte nella quale fosse possibile incontrare ciò che per questo territorio ha avuto sempre poca visibilità. Portare in Galleria l’Avanguardia, quella vera, ma in senso giocoso, meglio: Ludico. E  il mio “Abbecediere” calzava a pennello con gli altri oggetti che sarebbero stati esposti e venduti in galleria. Ma Ennio volle andare oltre: insieme alla galleria si inventò una produzione seriale degli oggetti ludici, rompendo l’aura dell’Arte e aprendo al Design. TATA, il gruppo di Artisti, Designer e Architetti, TOT, la galleria e TATOY l’etichetta della produzione seriale.

Padova, la città che saliva alle cronache nazionali per la caccia alle streghe svolta da certa Magistratura, trovava un luogo dove si respirava un po’ di aria libera. La Galleria TOT occupava quello che doveva essere l’androne di un palazzo rinascimentale, chiuso successivamente nelle due teste, quella verso strada e quella verso il cortile interno, da vetrate. L’altezza del volume era sufficiente perché Ennio vi ponesse un soppalco, dando così superficie agli allestimenti. Ennio lo realizzò in telaio metallico come un ponte autonomo, che quindi si poneva come arredo, senza mai appoggiarsi alle strutture perimetrali. Si trattava di un linguaggio gentile e rispettoso della struttura che l’ospitava. I piedritti erano profilati d’acciaio circolari come le due travi che reggevano il piano del soppalco, in grigliato industriale. Il tutto verniciato in azzurro elettrico e rosso pompeiano.  L’insieme dava l’idea di un baldacchino che all’occasione poteva essere portato in un altro luogo. Una lezione di architettura che ancora oggi è paradigmatica per chi volesse intraprendere con giusta misura la via del Restauro, inserendo linguaggi contemporanei in edifici storici. Per Ennio, Designer ma non Architetto, era un atto dovuto per non confliggere con le burocrazie e regolamenti edilizi (3).

La galleria si concludeva con un piano interrato che correva in parallelo  quello del piano terra e dove avvenivano riunioni e seminari del gruppo. Occasionalmente anche in questo spazio si svolgevano allestimenti di mostre e performance, anche se generalmente era utilizzato da Giulia come deposito. Giulia, che seguiva le vendite e le attività giornaliere della galleria, soggiornava al piano terra, con una seduta e un piccolo tavolo di rappresentanza. Mi colpiva il fatto che Ennio ponesse quotidianamente in un vaso sopra il tavolo una rosa. Era un atto di dolcezza e di rispetto.

Intervento analogo a quello della Galleria Ennio lo aveva fatto qualche anno prima nell’edificio che ospitava il suo studio in vicolo Mazzini, sempre a Padova. Si trattava di un modesto ricovero di industria artigianale, con buona altezza per inserirvi anche qui un soppalco, sempre in struttura metallica. Interessante l’immagine verso il vicolo del fronte, trattato in lamierato metallico, coerente con l’idea di riuso di una struttura industriale. I colori usati per le verniciature erano quelli primari: rosso, blu elettrico e giallo acido. Al piano terra vi si distribuivano scaffalature che accoglievano la notevole mole di libri. Ma vi erano anche tavoli per la progettazione e attrezzature meccaniche. Quest’ultime erano coerenti con la manualità del Nostro, che con esse realizzava i prototipi pensati.

In questo spazio sono avvenuti i numerossimi incontri preparatori all’avventura TATA.

Il soppalco ospitava un telaio per tessuti utilizzato da Giulia e qualche altro arredo minimale che permetteva di servire un caffè o preparare un pasto freddo.

Quando vi entrai la prima volta, mi parve di essere il protagonista de il “Lupo della Steppa” di Hesse, che varcava la soglia del “Teatro Magico”; all’interno vi erano stivati già i prototipi che sarebbero poi stati esposti nella prima esposizione del gruppo in galleria TOT, che ebbe una preparazione che durò più di un anno.

Ennio allora era Docente presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove insegnava anche Ernesto Luciano Francalanci, Storico dell’Arte, che da lì a poco avrebbe pubblicato il libro “Il Ludico” per i tipi della Mazzotta Editore. Il testo sarebbe diventato il libretto rosso del “Flusso TATA”, così come Luciano sarebbe stato un’altra “testa pensante” programmatica.

Condividevo in quegli anni la mia vita affettiva e sociale con Floriana Rigo, che non esitai a proporre come autrice ed artista, in ciò vedevo il consolidarsi di una comunanza di intenti che avrebbe dovuto cementare il rapporto sentimentale.

Il gruppo Tata si compose in quegli innumerevoli incontri preso lo studio di Ennio. In un primo tempo, probabilmente per creare una piattaforma comune, erano tra i singoli soggetti e Ennio, che coordinava e programmava: ne aveva facoltà, visto che filtrava il rapporto anche con i “mecenati”: Giulia, Paola e le altre sorelle Laverda, finanziatrici dell’operazione. Ciò dava al Nostro un potere decisionale che evidentemente era prevalente: il suo placet era per molti versi decisivo, anche se non riuscì mai nei suoi tentativi di plagio verso i componenti del gruppo.

Per la verità la geometria partecipativa era piuttosto variabile, proprio perché si trattava di un “Flusso”. Le stesse prime adesioni furono “alterne” e in progress.

Sta di fatto che alla prima mostra “TATA, ovvero del Ludico”, aperta in Galleria TOT il 6 maggio 1982 erano presenti i lavori di Tom Garner, Paola Casagrande, Francesca Dal Farra, Betty Bignanti, Ennio Chiggio, Roberto De Santi e Maurizio Baruffi (che operavano insieme) e io, Paolo Pavan. I testi illustrativi erano di Ennio Chiggio e Floriana Rigo. Tutte le opere erano state pensate come possibili multipli seriali, tant’è che in pagina di presentazione il titolo dedicato al catalogo (opera in 100 esemplari composta da Ennio) recitava: Collezione TATOY 1982. Come detto, infatti, TATOY avrebbe dovuto rappresentare il mezzo di commercializzazione delle opere prodotte, promuovendole presso le Gallerie e Negozi d’Arte d’Italia e dell’estero.

Cos’è TATA

Scrive Cristina Tosato nell’introduzione alla sua Tesi di Laurea dedicata al FLUSSO TATA (4):

Nel corso degli anni Ottanta, a Padova, alcuni artisti entrano nel cuore della semiotica, ormai in crisi da anni per la sua ambizione di voler spiegare tutti gli aspetti della realtà, e sperimentano in gruppo le possibilità del linguaggio giocando con i diversi livelli di senso. Questi artisti producono in gruppo oggetti, testi, immagini, fotografie, di alta qualità tecnica e artistica, da esporre e vendere nella galleria TOT in via S. Lucia. L’operazione TATA è tutta incentrata sul ludico, atteggiamento che provoca nel pubblico il sorriso, nel momento in cui si attua il cortocircuito tra significante e significato, tra senso comune e senso inatteso. Tutte le forme del linguaggio hanno infatti dimostrato l’incapacità di coincidere con l’oggetto cui si riferiscono, cioè con la realtà. Il linguaggio non è altro che un grande sistema allusivo, simbolico, metaforico, del mondo. Lo scarto sempre presente tra espressione e contenuto, può essere riempito dal ludico, che come un Jolly si sostituisce ai possibili (e a volte impossibili) livelli di senso.

Cristina Tosato coglie nel segno: è nello scarto e nello spaesamento, tra Realtà e Rappresentazione che si evidenzia la Crisi dei Linguaggi. Tema trattato dai Filosofi di quegli anni: da Michel Foucault a Jean Baudrillard e già anticipato dagli Artisti Surrealisti quali René Magritte e Max Ernst. Non è infatti un caso che Foucault abbia avuto un importante carteggio con Magritte e ad una sua Opera “Ceci n’est pas une pipe” abbia dedicato un saggio che ne rivelava il senso profondo.

TATA pur partendo dalla crisi dei linguaggi, dalle profondità offerte da tali filosofi, cercava una via d’uscita, una sintesi che si offrisse con valenza positiva e propositiva. Si trattava del Sorriso di chi volesse affrontare la vita, conoscendone la caducità, ma concludendo il tragico nicciano nel sorriso di Zarathustra. TATA voleva percorrere la strada indicata da Johan Huizinga, indicando all’Homo Faber la trasformata in Homo Ludens. In un certo senso TATA anticipava le stesse conclusioni a cui giungeva Baudrillard, con la sua vicinanza alla ‘Patafisica’ (5).

 Il movimento TATA si avvale di tutte le fonti, passate e presenti, per creare un labirinto di significati divertenti, di giochi di parole, di immagini ambivalenti, provocando un gioco le cui regole si danno solo giocando. In una città come Padova, culturalmente ed economicamente ricca, un’attività tanto fervida e complessa, provocatoria e divertente, durata ben sette anni, dal 1982 al 1988 (…).(6)

I TATA affrontano l’arte su più fronti: l’oggetto artigianale, il testo critico, il design, l’architettura, la fotografia, il fumetto, scegliendo sempre relazioni imprevedibili e improbabili tra le cose, relazioni riconoscibili attraverso un processo di “memoria della cultura”, secondo l’espressione di Ernesto Luciano Francalanci.

Come già detto la prima esposizione (mondiale) avviene il sabato 6 marzo 1982. L’invito a firma di Ennio Chiggio recitava: essendo un uomo ludico e leggero ho accettato di dare spazio al mio narcisismo presentando nello show-gallery di Giulia Laverda la collezione di oggetti Tatoy immersi in situazione ludiche.

L’accento in tale testo va posto sulla parola oggetti. La consapevolezza è semanticamente espressa nella condizione di crisi valoriale dell’Arte, che Chiggio bypassa semplicemente indicando le opere esposte come semplici oggetti, appunto.

Il catalogo era con copertina rigida ricoperta in tessuto giallo intenso e scritta nera riportante: TATA ovvero del LUDICO.

La tasca del risvolto interno della prima di copertina aveva un’etichetta con la scritta: Contiene il significato; la tasca, infatti, conteneva un cartoncino di buone dimensioni riportante la parola SIGNIFICATO. Il colophon di presentazione si presentava con il logo Tatoy, anch’esso redato da Chiggio, rimandava agli elementi costruttivi del Meccano, gioco costruttivo in elementi meccanici preformati e modulari.

Le attribuzioni dei lavori, dei testi, delle illustrazioni, dei collaboratori, degli autori, dei coordinamenti erano riportate con precisa meticolosità.

Della prefazione, a cura di Ernesto Luciano Francalanci, la parte più importante che dà la il registro di lettura teorica sta nelle note. Alla nota 1 si riporta:

Trattare del Ludico significa affrontare un modo  di essere della nostra civiltà, quale esso appare da una serie non casuale di indizi, che si situano indifferentemente dentro il territorio dell’arte e dentro il territorio della «realtà quotidiana», sintomi e nello stesso tempo simboli di una avventura industriale e metropolitana, ipermetaforizzata della predominanza dell’immaginario e delle «icone» sul «mondo delle cose» ed altresì sul mondo dell’Utopia e del Progetto.

Vale a dire che il sorriso ludico è il mezzo per riconoscere la cornice del quadro relazionale, “ultima differenza tra arte e mondo ultimo confine tra simulacro e verità”.

Il catalogo riporta in ordine le seguenti opere:

Sistema di Sicurezza, serigrafia su multistrato in scala reale riportante la figura di Carabiniere in alta uniforme, realizzata da Thomas Garner;

Misubisci? altra silhouette in multistrato sempre a scala reale, rappresentante un Samurai, metaforicamente rappresentativa dell’aggressività delle merci che da Oriente invadevano a quel tempo il mercato italiano. L’autore è sempre Thomas Garner.

Paola Casagrande e Francesca Dal Farra realizzano: Alieno, Sifasola e Sventata,cuscini profilati e serigrafati, sempre a scala reale, rispettivamente Woody Allen, Madame Récarnier e Marilyn Monroe.

Di Betty Mignanti sono Tapperoico, tappeto tessuto a mano rappresentante Giuseppe Garibaldi, e Florilegio, arazzo con riproduzione in sezione morfologica di un fiore, ottenuto per cuciture sovrapposte di tessuti.

Di Ennio Chiggio sono: Omaggio a Duchamp, scacchi in legno ad altezza uomo; Passo la mano, carte da gioco, in legno serigrafato e in fuori scala, che fungono da paraventi; Bicipide, servo muto ottenuto in assemblaggio di triciclo e cartello stradale (utilizzato per il piano d’appoggio); Carillonata cassa in legno riproducente un metronomo e contenente all’interno tre carillon con risultato sonoro programmabile; Occhi di bambola è un ovale su cui sono infissi undici occhi di bambola, l’ovale è posto su bilanciere che permette se in movimento di far aprire o chiudere gli occhi.

Di Maurizio Baruffi e Roberto de Santi sono Scala mobile scala in legno chiusa ai lati e con rotelle; il “sottoscala” è mascherato da un tendaggio, e La main qui gratte grattaschiena avente come terminale la mano/colomba di Le Corbusier (in bronzo) riprodotta in scala.

A chiusura di catalogo Abbecediere, opera dello Scrivente, è raccolta di ventun incisioni riproducenti alla guisa degli abbecedari le lettere dell’Alfabeto italiano, con proposte inconsuete di raccordo tra testo ed immagine.

Note

1) Si veda di Paolo Pavan: Giulia Laverda in Padova e il suo Territorio n. 156, pag. 52, aprile 2012.

2) Ennio Ludovico Chiggio e Manfredo Massironi negli anni Sessanta, insieme ad Alberto Biasi, Tonino Costa ed Edoardo Landi avevano dato vita al Gruppo Enne, che operò una svolta epocale nella Ricerca Artistica e Visiva. Si veda il mio articolo Il gruppo “Enne”, un’avanguardia padovana, in Padova e il Suo Territorio, Anno XXVI, Fascicolo 152, agosto 2011, pp. 25-29.

3) Si veda C’era una volta un’autofficina, nella rivista Interni numero 314; ottobre, 1981.

4) Cristina Tosato: Università degli Studi di Padova, facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Storia delle Arti Visive e della Musica; tesi di laurea: TATA, TOT, TATA-book: un’avventura Ludica a Padova; Relatore Ch.ma Prof. Annamaria Sandonà, Anno Accademico 2001-2002.   

5) La Patafisica è la Scienza delle soluzioni immaginarie, teorizzata da Alfred Jarry. Si veda dell’autore: Gesta ed Opinioni del dottor Faustroll patafisico.

6) Cristina Tosato, ibidem.

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