Il dovere della speranza per trasformare il mondo, uniti e consapevoli
Ho conosciuto quel dolore ancora prima di nascere, da sangue a sangue. Nata nel 1938, le arroganze dei regimi, le notizie che filtravano su ciò che accadeva in Germania, le leggi razziali da noi, amici persone degnissime, medici, insegnanti, privati di lavoro e dignità: l’esecrazione di mia madre, e quel dolore profondo di impotenza passavano attraverso di me.
Sono cresciuta dentro un sentimento ineludibile di fratellanza verso il popolo senza terra.
Poi a 16 anni ho saputo di qualcosa che stava accadendo in Palestina e mi sono associata ad una rete di solidarietà e aiuto ai palestinesi, e non capivo. Non capivo come potesse quello stesso popolo non sentirsi fratello del popolo mite a cui prendevano la terra.
Sono passati 71 anni da allora, ee l’arroganza è diventata orrore, e normalità in qualche parte del mondo potente e ricca, e d’improvviso nella nostra parte, stravolta e succube.
Tutto sembrava definitivo, insanabile, i nostri valori antichi non servivano più, e nuovi non c’erano. Sapevamo solo attendere. Qualcosa si era spento, non nelle persone forse, ma nell’umanità delle singole persone, perché quell’antico dolore di impotenza paralizzava la nostra volontà. Sentivo la solitudine della speranza vagare in cerca di noi, e il mio dovere di accoglierla.
La Vita è più forte di noi, perché ha in sé una irresistibile esigenza di esistere: quando noi tocchiamo il fondo delle nostre infamie, lei risale lungo la via delle speranze, con un volto nuovo e inaspettato, una forza nuova e giovane.
È stato toccato quel fondo. Con disumana crudeltà e cinismo, e con la miseria dei silenzi per calcolo e tornaconto. Troppo. E più forte di paura e smarrimento, l’onda di uno sfrontato coraggio ha raccolto il dolore del mondo per il popolo mite di Palestina, e l’amore per quegli scheletri bambini, e ci ha raggiunti, quell’onda, colpiti, ridestati e trascinati con sé: e le folle che in ogni parte del mondo hanno coperto le piazze di energia e di bandiere di Palestina, avevano tutte la stessa anima.
SUMUD. Non è stata la speranza a spingere le barche degli uomini nel vento del Mare Nostrum, sapevano che non sarebbero riusciti a fare tutto: la cosa grande che hanno portato a noi “occidente” stanco e senza nerbo, è stata la testimonianza che quando si lotta per una esigenza interiore di giustizia, non c’è impossibile che tenga.
Sumud, la forza di credere sempre, somiglia alla speranza ma è di più, è volontà di speranza sempre.
Io non avevo mai visto delle piazze così, delle strade di cui si vedevano solo i muri delle case, il resto era energia, e bandiere: non le nostre, erano le bandiere di una liberazione, di un impossibile da frantumare. Era un orgoglio che rinasceva dal silenzio.
Le piazze l’avevano accolto, il messaggio. Altri no. Tutti abbiamo temuto per la vita dei missionari per Gaza, e chi in buona fede e chi meno, tanti li hanno pregati di fermarsi, perché mettevano a rischio la propria vita: ma loro lo sapevano da principio, e sono andati avanti sereni, lucidi, sicuri, il loro carico di testimonianza non poteva essere rubato.
Alcuni dei naviganti hanno scelto di fermarsi. Non tutti possono riconoscersi il dovere di essere eroi, ci sono impegni e legami più vicini che vogliono essere rispettati, e può costare anche molto rinunciare per amore a qualcosa che si sarebbe amato.
Avanti. I giorni, le attese del quando e del come, i rumori del mare la notte, il nostro pensiero con loro, l’energia delle piazze e dei porti, l’amore dei silenti. E la paura, e l’ora. Il coraggio non è non avere paura, è vincerla.
E da vincitori hanno affrontato le violenze, l’irrisione, i furti, le mortificazioni di ogni genere inflitte da chi pensava di poterli fiaccare, e non ha potuto.
Un tempo chi si macchiava di reati ignobili non amava farlo sapere; oggi il senso d’impunità è così spudorato… (ma non pensiamoci troppo giusti, noi che ci sentiamo orgogliosi dei nostri valori antichi, perché le oscenità sui Social, e gli insulti immotivati, hanno la stessa matrice di impunità)… così spudorato che lasciare uscire dal carcere i racconti delle sevizie subite è diventato un’astuzia funzionale alla diffusione della paura.
Ma ha parlato per tutti Thiago Avila, brasiliano, il primo seme della piccola flotta dell’utopia.
La versione integrale è su Google, Lettera di Thiago Avila alle persone libere del mondo.
Oggi è il 6 ottobre 2025, e ora siamo nel carcere di Ktzi’ot, in mezzo al deserto del Negev, nella Palestina occupata. Siamo qui da 5 giorni… da quando siamo stai intercettati illegalmente in acque internazionali abbiamo subito molte violazioni…
aggrediti fisicamente, minacciati dai cani, privati del sonno, presi di mira da laser e fucili, sottoposti a maltrattamenti psicologici di ogni genere…
hanno minacciato la mia bambina, sputato in faccia…
Perché il mondo sappia, immaginate cosa fanno ai palestinesi. Ora ci sono 10.000 palestinesi nelle segrete israeliane, 400 dei quali sono bambini.
Più di metà dei nostri partecipanti sta facendo lo sciopero della fame…
Il momento più luminoso della giornata è pensare alla sollevazione globale che state portando avanti fuori, per la Palestina.
VI SUPPLICO DI INSORGERE. Insorgete ora, ma non per noi, per questo popolo che da otto decenni subisce genocidio.
Così come altre generazioni hanno sconfitto l’apartheid in Sudafrica, il nazismo, il fascismo e altre ideologie dell’odio, il dovere storico della nostra generazione è fermare il sionismo e l’imperialismo. Finché non riusciremo non potremo riposare.
Siamo capaci di farlo. È l’onore più grande della mia vita camminare con voi in questa lunga marcia verso un mondo libero dallo sfruttamento, da ogni forma di oppressione e dalla distruzione della Natura…
Siamo insieme. Un grande abbraccio, e trasformiamo questo mondo”.
Mi sento di dire, con commozione sì, questo è un Uomo, questo è NOI.
Oggi sembra un miracolo improvviso, un giorno senza bombe, per tanti bambini il primo della loro vita, l’azzardo di non avere paura. È una tregua che ha la bellezza di una pace, tanta festa dovunque, una gioia che travolge e si vuole credere subito definitiva. Ma ha basi d’argilla per ora, c’è tanto lavoro prima della verità.
Ho un’opinione fuori dal coro, e devo premettere una cosa personale: ho imparato da bambina a vedere il filo sottile che separa il terrorista dal patriota. Io ho fatto le scuole in italiano, mia madre in tedesco, io amavo l’eroe Guglielmo Oberdan, lei era sconvolta che io amassi un terrorista. Questa antinomia mi ha accompagnato sempre.
Oggi in questa guerra mondiale fra menzogne, tutti si mostrano concordi su una cosa sola: Hamas deve scomparire.
Hamas, parola che significa zelo, spirito combattente, è l’acronimo in arabo di Movimento Islamico di Resistenza. Sono uomini che hanno visto e subito nel corso di 80 anni gli orrori che adesso abbiamo visto anche noi, e li hanno trovati ingiusti; sono la parte del popolo di Palestina che ha scelto di lottare anche con le armi contro un invasore strapotente e violento. Per una giustizia di cui nessuno nel mondo si occupava.
Hamas è una realtà complessa, ha un braccio armato e uno politico-amministrativo, che a Gaza ha dato ospedali, biblioteche, istruzione e tanto altro.
Hamas deve abbandonare la violenza, le armi che uccidono, ma non deve morire, perché è l’unico controllore che non può essere corrotto né ingannato; non può morire, neanche se lo smantellano, perché non è un’arma, è un’anima.
La lotta armata è cruenta, il 7 ottobre è un orrore, e anche su quello i tribunali internazionali dovranno indagare. Nel mondo dei potenti, adesso stipati al capezzale dei possibili affari, c’è tanta pulizia da fare per arrivare alla verità.
Ma il mondo è nuovo, e per la prima volta mi sento parte di un’energia globale, che già in pochi giorni ha collaborato a spostare un equilibrio della Storia, e che deve restare accesa: siamo le persone libere del mondo, quelle della supplica di Thiago Avila:
Vi supplico di insorgere, non una volta sola, ma in ogni necessità di giustizia..
Siamo insieme, trasformiamo questo mondo. Il nostro dovere è la speranza.