La biblioteca di Cervarese Santa Croce: storia del recupero dell’antica chiesa parrocchiale
Le traversie dell‘antica parrocchiale di San Michele di Montemerlo, fino al suo recupero strutturale e al riuso come biblioteca e centro culturale, descritte in un articolo apparso sul numero 175 di “Padova e il suo territorio”, del giugno 2015
Al termine di un attento e complesso restauro l’ex parrocchiale San Michele di Montemerlo è stata riconsegnata alla comunità con la funzione di vero e proprio centro culturale multifunzionale. L’edificio sacro, officiato fino al settembre del 1953 e quindi abbandonato per essere occupato da una bottega di falegnameria, fu adibito nei primi anni Sessanta a scuola media. Trascorsi vent’anni, allorquando gli studenti si trasferirono nel moderno plesso scolastico di via Repoise, ora intitolato al pontefice Karol Wojtyla, l’ex parrocchiale rinacque a nuova vita ospitando fin dal 1994 la biblioteca comunale grazie a una convenzione stipulata ancora qualche anno prima tra la parrocchia di San Michele arcangelo di Montemerlo, proprietaria dello stabile nella persona dell’allora parroco don Guerrino Panozzo, e l’amministrazione comunale di Cervarese Santa Croce, a quel tempo guidata da Gianfranco Cenghiaro, per essere destinata al recupero e al conseguente pubblico utìlizzo culturale.
La parte primitiva e originaria dell’edificio sembra risalire all’epoca longobarda (secoli VII-VIII d.C.) e l’intitolazione a San Michele, uno dei patroni più cari alla popolazione di origine germanica, non farebbe che confermare una datazione in tal senso. La chiesa è documentata la prima volta, officiata da presbiterGeraldus,nel 1297, quando venne esentata – vista la scarsezza di mezzi – dal pagamento delle decime. Le attuali linee architettoniche sono riconducibili a un significativo ampliamento avvenuto nel 1823, in seguito al quale la chiesa raggiunse le odierne forme e dimensioni (la navata misura m. 20,90 x 9,15, il presbiterio m 8,75 x 4,30). Altro intervento degno di essere rammentato risale al primo decennio del Novecento, su progetto del curato don Fortunato Cerato: la facciata principale fu abbellita da lesene, capitelli e fregi dorici, mentre la cuspide settecentesca fu sostituita da una torre a merlatura ghibellina.
Il concetto che ha guidato l’attuale progetto di riutilizzazione, predisposto dallo studio dell’architetto Gianni Tommasi, è stato quello di riportare il più possibile l’edificio al suo assetto originario, pur tenendo a mente alcuni vincoli che sono stati comprensibilmente imposti dalle nuove esigenze d’impiego dello stabile stesso. Assai articolato si è rivelato il recupero e il riadattamento dell’edificio per porre rimedio a una serie d’interventi particolarmente invasivi, realizzati nel momento in cui lo stabile fu adattato all’uso scolastico con la conseguente creazione di una decina di aule e relativi servizi. Recupero articolato tanto per la castità del complesso quanto per la molteplice natura degli interventi da attuare.
Pressoché interminabile è l’enumerazione dei lavori realizzati a stralci da maestranze specializzate lungo un percorso sviluppatori negli ultimi vent’anni grazie alla supervisione delle competenti soprintendenze e dell’ufficio diocesano di arte sacra. I lavori iniziati, che hanno preso avvio agli esordi degli anni Novanta, sono consistititi nell’abbattimento delle murature di tamponamento realizzate ai piani terra e primo, nel risanamento del tetto (con il mantenimento tuttavia delle travature originali, ancora ben conservate), nella riapertura dei sette finestroni e del portone di entrata principale della vecchia chiesa, realizzati in occasione dellallungamento e innalzamento ottocenteschi dell’edificio sacro e quindi occultati, e inoltre nel consolidamento e pulitura di alcuni dipinti la cui conservazione destava una certa preoccupazione: un affresco della massima importanza artistica, raffigurante la Crocifissione di Cristo tra Maria, san Giovanni e la Maddalena, eseguito da un frescante attivo in ambito padovano nella seconda metà del XVI secolo; due pitture a tempera, ubicate nella vecchia abside, realizzate dal frescante valdobbianese Antonio Tramarollo nel 1917 mentre si trovava profugo di guerra nella casa canonica, ospite del parroco don Cerato, che narrano epîsodi tratti dal van- gelo (l’Ultima Cena, Gesù che sosta con i discepoli sulle nve del lago di Tiberiade). Si è via via proseguito, nel corso del tempo, con altri, svariati interventi: dalla costruzione di una nuova scala artistica in ferro e trachite per accedere al piano superiore (tale intervento si è reso opportuno nell’ottica di liberate il più possibile la navata da strutture estranee all’assetto architettonicooriginario) alla messa a norma di tutti gli impíanti con particolare attenzione al controllo dei consumi, dalla realizzazione di nuovi servizi igienici al ripristino della foronometria originaria del prospetto nord dell’edificio (quello prospiciente la strada provinciale Montemerlo/Cervarese Santa Croce) che ha comportato la chiusura di tutte le finestre realizzate per illuminare le aule scolastiche, compromettendo di fatto l’aspetto architettonico del fabbricato. In questo lato dell’ex parrocchiale è stata prevista pure la riapertura di una piccola porta che, fintantoché la chiesa venne officiata, serviva all’accesso degli uomini (nelle epoche passate separati in chiesa dalle donne) e, soprattutto, di due caratteristiche finestre arcuate, testimonianza diretta della struttura architettonica cinque/seicentesca dell’edificio. Tuttavia l’intervento di maggior rilevanza compiuto all’esterno (torre campanaria compresa) ha interessato il completo risanamento delle vecchie malte dell’intero immobile, con la conseguente stesura di un intonaco con terre coloranti a granatura fina. Nel contempo è stata effettuata la pulitura della facciata principale, eseguita con particolare attenzione per mettere in risalto gli ornamenti architettonici (lesene e capitelli) risalenti al primo Novecento. I lavori di più recente fattura – effettuati nel corso dell’ultimo stralcio, che ha preso avvio nell’estate del 2010 – hanno riguardato il consolidamento del solaio con una moderna struttura metallica costituita da colonne circolari in ferro con sovrastante architrave metallico, a recupero dell’originario pavimento in trachite imprudentemente celato negli anni Sessanta da grossolane piastrelle, l’analisi archeologica del sottofondo dell’intera navata che ha consentito, tra l’altro, la mappatura di alcune antiche sepolture.
In particolare, nella zona dell’abside è venuta alla luce una vecchia lapide, ubicata di fronte all’altare maggiore, di cui rimaneva testimonianza soltanto nella memoria della popolazione anziana. Si tratta di una pietra tombale fatta realizzare dal parroco don Marco Valente ne1 1880, che ricorda come in quel luogo fossero stati tumulati, com’era consuetudine prima dell’emanazione dell’editto di Saint Cloud, tre rettori della chiesa di Montemerlo: don Alessandro Carrari, don Lorenzo Nardi e don Andrea Stefani. Le carte degli archivi forniscono più di un importante riscontro sulla presenza di questi sacerdoti in cura d’anime, restituiti alla memoria dopo secoli d’oblio. Don Alessandro Carrari ha retto la parrocchia per quarantadue anni, precisamente dal 1687 a1 1729, in un periodo nel quale la villa di Montemerlo passò dai 385 abitanti del 1696 ai 462 del primo decennio del Settecento. Durante la sua reggenza si realizzarono due manufatti ancor oggi visibili nella nuova parrocchiale (progettata da Stanislao Ceschi nel 1953): l’altare della Madonna (1693), recentemente restaurato, e il vecchio altare maggiore (1717), ai giorni nostri collocato nella prima cappellina della navata destra. Alla sua morte venne sostituito da don Lorenzo Nardi, che guidò la parrocchia per quasi mezzo secolo, dal 1729 a1 1773. Anche questo rettore si segnalò per la realizzazione di alcune opere: del 1736 è la benedìzione di due campane (poi levate ne1 1811 per far posto ad altre), dedicate ai tradizionali santi protettori della parrocchia, Michele e Pancrazio; del 1746 è la costruzione dell’altare di San Pancrazio, nella nuova chiesa, inopinatamente dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Ma don Nardi è ricordato anche per aver ricevuto il 16 giugno 1747 la visita pastorale del vescovo Carlo Rezzonico, poi papa Clemente XIII. All’epoca la parrocchia, in costante crescita demografica, tanto da annoverare 576 abitanti, non disponeva di una casa canonica in grado di accogliere il vescovo con tutto il suo seguito, cosicché il presule venne ospitato nel vicino palazzo della famiglia Forzadura, sorto a mezza costa del colle, sulle ceneri del castello dei Forzatè. L’ultimo parroco tramandato dalla lapide è don Andrea Stefani, proveniente dal1’altopiano di Asiago (terra particolarmente ricca di vocazioni sacerdotali tanto che egli stesso era succeduto a don Giobatta Pozza, originario di Lusiana), che ebbe la cura d’anime di Montemerlo per una dozzina d’anni, precisamente dal 1778 al 1790 allorquando la parrocchia superò per la prima volta il tetto dei 600 abitanti. Durante la sua cura d’anime, nel 1787, il vecchio e mal funzionante orologio solare che scandiva le ore sul campanile venne sostituito da un nuovo orologio meccanico a contrappesi, realizzato dall’artigiano Pietro Buso di Creola: il manufatto, smontato dalla sede originaria, è stato ripristinato e ora esposto nell’antico fonte battesimale. Questi tre parroci possono essere presi ad esempio di tutti i sacerdoti che guidarono la comunità montemerlana nelle epoche passate: a quel tempo la pressoché totalità della popolazione era povera e non sapeva né leggere né scrivere. Erano quindi i settori della parrocchia le persone a cui far riferimento non solo per ricevere aiuto morale e consolazione, ma anche per risolvere concretamente situazioni materiali di bisogno o per dirimere questioni prettamente laiche. Perché nei secoli passati fu la chiesa, nelle campagne venete, a rappresentare l’unica occasione di vita sociale, di coscienza e d’identità, di speranza e di conforto per generazioni di villici.
I restauri che hanno riservato più gradite sorprese sono stati quelli che hanno interessato, nel corso dell’ultimo biennio, l’intero apparato decorativo della vecchia chiesa, perché hanno consentito di fare piena luce sulle vicende costruttive dell’edificio stesso. In primo luogo il ripristino ha interessato la decorazione della volta della navata: sono così tornati alla loro originaria bellezza gli affreschi raffiguranti l’assunzione di Maria in cielo fra gli angeli, e quattro medaglioni con gli evangelisti eseguiti nel 1917 da Antonio Tramarollo. Nell’occasione sono riaffiorati anche affreschi di epoca ottocentesca di cui si ignorava completamente l’esistenza, perché coperti dalle pitture del Tramarollo: d’intesa con gli esperti della soprintendenza si è optato di svelarne una minima parte, riproducente soggetti a carattere sacro. L’attenzione dei restauratori si è poi soffermata sul cosiddetto “arco trionfale” che immette nel presbiterio, dipinto dal decoratore Giuseppe Pravato di Luvigliano, all’inizio del Novecento, occultando precedenti decorazioni, fra cui sette angeli oranti e il corpo di Cristo simboleggiato dall’ostia. Gli angeli sono arricchiti da aureole in lamina metallica dorata (ormai in traccia) a rilievo. Queste ultime decorazioni superstiti appartengono all’apparato pittorico eseguito all’indomani delle modifiche spaziali del 1823. L’ipotesi più accreditata è che in quel frangente la chiesa sia stata interamente decorata dalla mano di un unico pittore a noi ignoto, che ha utilizzato la tecnica dell’affresco. Tale apparato decorativo venne per così dire “sostituito” dalle pitture del Tramarollo nel soffitto della navata e nell’abside, e dall’intervento del Pravato nelle pareti laterali e nell’arco trionfale. E, sorpresa delle sorprese, durante la rimozione delle malte cementizie sull’arco trionfale sono emerse tracce riferibili a decorazioni cinquecentesche, sicuramente affiancabili all’affresco che raffigura Cristo crocifisso, ora collocato nel salone al piano terra, ascrivibile a frescanti attivi in ambito padovano nella seconda metà del XVI secolo. Si individua una finta trabeazione a timpano contenente con ogni probabilità tutta una serie di clipei con testine. Purtroppo è giunto a noi un solo clipeo con una testina di giovane recante un cartiglio, di cui purtroppo non si conservano tracce di scrittura. La tecnica esecutiva mostra una mano sapiente, capace di raggiungere alti livelli di espressività con poche, abili pennellate. Le decorazioni più antiche girano anche sulle pareti (occultate da spessi tratti di intonaco e laterizio distesi in occasione dell’ampliamento ottocentesco) rivelando le dimensioni della navata cinquecentesca. Dal ritrovamento emerge che la primitiva navata aveva la stessa larghezza e la stessa altezza di quella attuale, ma con una copertura a timpano. Da ultimo, rimossi vari strati di ridipintura bianca, è stata svelata l’intera decorazione ottocentesca delle pareti della vecchia chiesa dal cornicione in giù, decorazione che, pur intaccata da numerosi spaccati conseguenti alle modifiche apportate a suo tempo per l’utilizzo scolastico del fabbricato, consente ora di ottenere una visione globale dello splendido apparato pittorico della prima metà del XIX secolo. L’intera decorazione della volta dell’originaria navata è stata infine consolidata grazie alla stesura di adeguati leganti e resine. Il merito per il recupero dell’intero apparato pittorico va ai cantieri didattici di restauro sviluppati dagli allievi dei corsi di formazione per operatore di beni culturali promossi da1l’Unìone Provinciale Artigiani (UPA) e dal Centro Provinciale di Istruzione Professionale Edile (CPIPE) di Padova, rispettivamente guidati dalle restauratrici Andreina Comoretto e Lisa Tordini. Anche 1’esterno è stata coinvolto da lavori con la delimitazione dell’area del sagrato e della zona laterale nord dell’edificio, ove è stata realizzata una pavimentazione in copacani di trachite. Infine, a ridosso del lato nord sono state collocate delle panchine in pietra chiara e una fontanella d’acqua, creando così una piccola area di sosta.
La biblioteca comunale è stata sistemata al piano terra per consentire una maggiore funzionalità e praticità logistica. Straordinaria è la cornice nella quale sono disposti pressoché diecimila volumi, suddivisi nella sezione adulti, che occupa l’intera navata, e la sezione ragazzi che ha trovato spazio nell’antico presbiterio. Particolarmente suggestiva, poi, si rivela la zona del salottino, approntato nell’abside per chi vuole sostare a sfogliare un libro oppure una rivista. Il piano superiore ospita invece la sala convegni, un punto informativo turistico, un paio di aule studio.
NOTA
Per non affollare il testo di continui riferimenti archivistici e bibliografici si rimanda a G. Listo, Viaggiando nel territorio, in A. Espen – C. Grandis (a cura di), Cervarese S. Croce. Profilo storico di uncomunedelPadovanotraBacchiglioneeColli Euganei, Il Prato, Saonara 2004, nonché A. Espen, Uomini e territorio tra pascolo e presente. I primi duecento anni del comune di Cervarese S. Croce 1897-2007, Il Prato, Saonara 2008, che sviluppano con dovizia le vicende religiose della comunità montemerlana e quelle storico/artistiche della sua chiesa.
