La sparizione della responsabilità personale
Di fronte ai tragici fatti di cronaca, si tende a cercare le cause nelle circostanze quasi “assolvendo” chi li compie. Ma questo non è accettabile
Da anni ormai, quasi giornalmente, apprendiamo di figli che uccidono i genitori (magari con l’aiuto di qualche amico complice) per impossessarsi dei loro risparmi; di “facili” esecuzioni di ragazzi da parte di coetanei poco più che adolescenti; di stupri di gruppo e di arrogante bullismo ripresi e divulgati in video. Qualche tempo fa un giovane di colore, italiano, ha pugnalato a morte (s’era portato appresso quattro coltelli!) una donna casualmente incontrata, dopo averle “chiesto scusa” (così ha dichiarato alle forze dell’ordine) per quanto stava per farle. Ed è recente la strage, nel Milanese, di un diciassettenne, italiano – non di colore – che ha sterminato, “perché se ne sentiva oppresso”, la famiglia massacrando, nell’ordine, il fratellino di dodici anni, poi la madre, infine il padre, di cui s’era tutti insieme festeggiato, poco prima, il compleanno.
A monte di queste efferatezze, accanto alle innumerevoli altre cause che si possono reperire (la profonda crisi dell’istituto della famiglia; la scuola in balìa di evanescenti PTOF, i piani triennali di offerta formativa; la realtà scalzata dalla virtualità, e così via) vi è quella del consolidarsi di una “cultura” psicosociologica, non priva di ideologiche, sessantottine contaminazioni, che andando a cercarne le cause in fattori ambientali avversi (l’indigenza ma anche l’eccessivo benessere, il degrado da baracche ma anche le marcusiane sciccherie da salotto, ha finito per azzerare la “responsabilità” dell’individuo, per cui di ogni atto delittuoso, secondo quella “cultura”, l’esecutore è, in definitiva, una vittima più che il colpevole.
E questo è inaccettabile, specie se si pensa che tale chiave di lettura è di quella intellettualità che, asserendo – pusillanime – il contrario di quello che pensa, tende a rivestire la sua viltà di fumosi vaneggiamenti argomentativi.