Prigionieri di guerra inglesi in Veneto: il campo di Ponte San Nicolò

Molte famiglie offrirono assistenza ai militari detenuti: una realtà poco conosciuta ma di grande interesse storico, umano e civile

Senza l’importante contributo di ricerca di Rogers Absolom, che raccolse il suo lavoro nel volume A strange Alliance (La strana alleanza), oggi non avremmo un quadro esauriente di un fenomeno così complesso e diffuso come l’assistenza data da molte famiglie italiane nei confronti dei prigionieri di guerra alleati, che si trovavano nei campi di prigionia e di lavoro sparsi nell’Italia settentrionale e centrale dal 1943 in poi. Di fatto, nel momento in cui l’esercito tedesco maturò le significative vittorie in Nord Africa, molti prigionieri inglesi, e più in generale del Commonwealth, vennero catturati a Tobruk, Sidi Rezegh, Marsa Matruh, El-Gazala per essere portati via mare nel Sud Italia ed essere “smistati” in vari campi, tra cui il PG65 di Gravina in Puglia, il PG 53 di Sforzacosta, ed altri. La progressiva saturazione della capacità di questi campi, assieme alla richiesta di manodopera agricola, è uno dei motivi della creazione nel marzo-aprile 1943 di campi e distaccamenti nel Padovano.

Ogni campo era contrassegnato dalla sigla PG (Prigionieri di Guerra) e da un numero, con l’uso dei numeri romani per i distaccamenti/campi di lavoro. Nel caso del Veneto possiamo riassumere la situazione con un campo principale a Padova, il PG 120, corrispondente all’attuale caserma abbandonata in cui c’era compresenza di prigionieri di guerra (soldati) e di internati civili, con una ventina di distaccamenti (principalmente campi di lavoro in agricoltura), a Cavarzere, Ponte San Nicolò, Saletto di Montagnana, Abano, Saonara, Mestrino, Mira ed alcuni tuttora non identificati. Completano il quadro della nostra regione alcuni campi di lavoro nel Veneto orientale, le cui vicende sono state ricostruite da Lucia Antonel in I silenzi della guerra. Prigionieri di guerra alleati e contadini nel Veneto orientale (1943-1945) e il campo di Bussolengo e Isola della Scala, nel Veronese.

Dal 2017 assieme alla Sezione ANPI di Ponte San Nicolò, l’ANPI provinciale di Padova e il supporto del Comune di Ponte San Nicolò, ho approfondito la storia e le vicende del distaccamento PG 120/XVII di Rio di Ponte San Nicolò, un campo di lavoro agricolo nei terreni di proprietà di Montesi, “signore dello zucchero”, dove venivano impiegati circa cinquanta soldati inglesi catturati in Nord Africa.

La ricerca ha riguardato la documentazione, tutta inedita, ricevuta dal National Archive and Record Administration di Washington e dagli archivi di Kew Garden a Londra, per raccogliere ed organizzare i documenti della Allied Screening Commission, la Commissione alleata di verifica delle attività di soccorso ed assistenza data dalle famiglie italiane ai soldati, e dagli Escape Report, quei documenti redatti dai soldati che raggiunsero la Svizzera, tramite le organizzazioni di salvezza.

Oltre a ciò, una vasta ricerca sul campo mi ha permesso di individuare i familiari (figli, nipoti o pronipoti) delle famiglie Bertolin, Biolcati, Cellini, Carollo, Carossa, Donà “carrossetta”, Marcato, Marzotto, Pasquetto e Schiavon, per raccogliere i loro ricordi e le testimonianze del loro contributo alla cosiddetta “Resistenza civile”. Straordinaria la testimonianza di Gino Marcato, tuttora l’unico testimone di quei mesi in cui molte famiglie rischiarono la vita o la deportazione per nascondere i soldati. Gino, classe 1926, nascose assieme al padre Vittorio e al fratello Pietro il carrista David Arthur Davies, che grazie a Pierina Boschi e ai frati di santa Giustina riuscì a tornare in Inghilterra (le famiglie continuarono a mantenere i rapporti anche dopo la fine della guerra). I report di fuga che sono riuscito a rintracciare a Kew garden dimostrano che alcuni soldati vennero portati in salvo in Svizzera grazie alla “catena di salvezza” delle sorelle Martini, dal momento che nel caso di un soldato arrivato in Svizzera si fa riferimento al “signor Armando” (che era Armando Romani, ex ufficiale pilota all’aeroporto di Padova).

Punto di collegamento tra i partigiani e l’assistenza ai prigionieri di guerra era Lorenzo Novello, partigiano e tesoriere del Fronte della gioventù, che contribuì a portare in salvo il soldato Armand Francis Blondel. Ma l’episodio più incredibile della collaborazione tra militari inglesi e Resistenza è relativo al contributo del soldato John Fellowes, membro delle Scots Guards, che con un falso nome partecipò alla Resistenza nel gruppo del 1° Battaglione della Brigata G.L. “Trentin” di Giovanni Nicoletto, artigiano elettricista e reduce della Prima guerra mondiale. Tale gruppo di partigiani, aderente a Giustizia e Libertà, raccoglieva adesioni a Roncaglia, Ponte San Nicolò, Legnaro, e si era specializzato nell’uso di esplosivi. La tentata cattura di John, che era nascosto nell’abitazione di Clemente “Bepi” Pasquetto in via sant’Antonio a Rio, è alla base dell’incendio della casa dei Pasquetto, e delle minacce alla madre, Anna Maria Miste’, testimoniata da una lettera tuttora conservata al NARA Di Washington. In quell’occasione Mick Dodd, l’altro soldato che era nascosto in casa Pasquetto, venne catturato e portato in un campo di concentramento in Germania. Purtroppo, anche attraverso inganni e false “catene di salvezza”, non furono pochi i soldati ricatturati dai fascisti, consegnati ai tedeschi e portati prevalentemente nel campo Stalag VII-A di Isar/Moosburg.

Grazie alla collaborazione delle famiglie degli “helpers” nell’aprile del 2019 Gabriel e Fiona, figlie del soldato Jim Ayers, hanno conosciuto parte della famiglia Marzotto che l’aveva nascosto assieme al soldato Victor Gilchrist. Successivamente, via videocall, la famiglia del soldato Edward Denchfield ha conosciuto la famiglia Schiavon, che lo nascose assieme ad altri quattro militari. Inoltre, Giuseppe Schiavon prestò assistenza medica a George Atkins, nascosto da Leo Gesuato “Nardello”. Ho anche fatto in modo che la famiglia di John Fellowes entrasse in contatto con la famiglia di “Bepi” Pasquetto e con la famiglia del comandante partigiano Nicoletto.

Si tratta di una ricerca di grandissimo valore sia per la storia che per la memoria dei suoi protagonisti, una vicenda che come altre storie di assistenza di famiglie italiane a soldati alleati, dimostra la notevole adesione, in termini di partecipazione, di molti cittadini alla Resistenza civile, e il legame indissolubile tra Resistenza “armata” propriamente detta e Resistenza “non armata”.

Bibliografia di base e web link

Zamboni A., Sette uomini sotto le stelle, in https://casrec.unipd.it/sites/casrec.unipd.it/files/SETTE_UOMINI_SOTTO_LE_STELLE.pdf

Absolom Roger, La strana alleanza, Pendragon, Bologna, 2011

Antonel Lucia, I silenzi della guerra. Prigionieri di guerra alleati e contadini nel Veneto orientale (1943-1945), nuovadimensione, 2011.

Insolvibile Isabella, La prigionia alleata in Italia 1940-1943, Viella editore, 2024.

[Per le foto: cortesia Famiglia Schiavon per le due immagini relative al Certificato Alexander e cortesia Famiglia Denchfield per le due immagini di Edward Denchfield]. 

Edward Denchfield

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