Se il bene arriva come un miracolo
Un atto di incredibile generosità che riscalda il cuore: un paziente ha ricevuto un rene da un donatore anonimo e a lui sconosciuto
“Grande è la ricchezza di un’epoca in agonia”, affermava il filosofo Ernst Bloch nel saggio ormai classico, Eredità di questo tempo, pubblicato nel lontano 1935. Riflettendo sulle cause che determinarono il consenso di massa della popolazione tedesca al nazismo, egli giunse alla conclusione che più una società è oppressa dalla paura dell’oggi, gravido di sofferenza, più dà libero sfogo all’immaginazione, al sogno utopico per inventare e per raccontare l’inesistente, per affidarsi ai consolidati valori etici che danno tranquillità. Ciò permette a un’intera generazione di persone di risorgere orgogliosamente da momenti particolarmente gravosi e problematici, di accettare con fiducia un futuro aperto ad esperienze articolate e dinamiche. D’altra parte tutta l’esistenza umana è terreno di fattibilità, di costruzioni possibili o verosimili, costantemente modificate dal nostro intelletto, dal desiderio di una vita felice.
Nel XXI secolo, la necessità di appagare le aspirazioni più intime e di dare spazio a scelte in grado di gratificare l’individuo, anche se possono risultare incomprensibili, sembra avere ceduto il passo alla potenza della tecnica che condiziona la vita, migliorandola sovente, ma controllandola al contempo. L’assenza dei miti, la mancanza di utopie, o la presenza di anti utopie, poi, si oppongono alla costruzione di nuove società, celebrando un individualismo sempre più esasperato dai social media. Ne consegue un’infelicità esasperata che nega persino l’inesistenza delle generazioni posteriori. In effetti, la popolazione autoctona italiana è in costante diminuzione, mentre aumenta l’afflusso indiscriminato di immigrati che, se coordinati, potrebbero arginare il problema dei dieci milioni e trecentomila abitanti in meno, previsti nel 2050, secondo il rapporto annuale Censis.
Nell’aridità dei sentimenti attuali, ecco una notizia controcorrente, un atto di generosità in grado di ravvivare la speranza nelle potenzialità umane, nella bontà e nella “riconoscenza verso la vita”, come ribadisce l’artefice anonimo dell’eccezionale avventura. L’episodio, che vale davvero la pena diffondere, è stato riportato meritoriamente da Matteo Riberto nel settimanale “L’incontro” del 29 dicembre 2024, distribuito gratuitamente in cinquemila copie, in molte parrocchie e nei posti più importanti della città di Mestre. Inoltre, è consultabile anche sul sito del Centro don Vecchi, www.centrodonvecchi.org.
Si tratta di un nostro corregionale che un giorno si reca al Centro trapianti di rene-pancreas di Padova per donare un rene, in forma anonima e gratuita, non ad un familiare o ad un amico, bensì ad uno sconosciuto. Dopo l’esito favorevole dei dovuti accertamenti clinici e psicologici da parte delle due preposte commissioni, ha inizio un susseguirsi di inimmaginabili avvenimenti. Viene individuato un paziente compatibile, in cura da tempo presso l’ospedale San Salvatore dell’Aquila, il quale beneficia del prezioso dono. Un familiare del ricevente decide a sua volta di offrire un rene che viene così trapiantato a un uomo ricoverato nel Centro trapianti di rene dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Anche in questo caso il familiare del trapiantato dona un rene ad un giovane iscritto nella lista d’attesa del Centro trapianti di Padova, in dialisi da quattro anni.
La notizia ha davvero dell’incredibile. Se consideriamo l’iniziale motivazione che ha spinto il primo donatore samaritano, allora lo sconcerto è totale: una persona ha voluto ripagare “la vita con la V maiuscola” per avere ricevuto “amore, amicizia e soddisfazioni professionali”. Questo è quanto lui stesso ha spiegato ‒ in collegamento via audio per mantenere l’anonimato ‒ alla conferenza stampa presso l’Istituto Superiore della Sanità. Essendo credente, conforme allo spirito evangelico, egli ha colto l’opportunità di “donare”, attivando una vera e propria catena di solidarietà a beneficio di persone sconosciute ai donatori.
Che dire? Storie come queste hanno il potere di rilanciare la passione come punto d’incontro tra anima e corpo, di portare in superficie sentimenti di altruismo ed empatia che sembrerebbero sepolti sotto strati di interessi privati, di rancori e di invidie. In fondo l’uomo non è così insensibile come guerre, omicidi e… giornali mettono in risalto quotidianamente. Esiste ancora la bontà d’animo, il darsi agli altri condividendo momenti di sofferenza, superati dalla gioia di offrire una vita “normale” a persone che, altrimenti, sarebbero destinate a un futuro tormentato. L’infinito sta davvero nelle nostre mani, come suggerisce Hegel, e non bisogna mai perdere la speranza nelle potenzialità del bene.