Elio Armano, un artista divergente

Come primo cittadino di Cadoneghe, negli anni Novanta, ha unito scultura, politica, creatività, visione lungimirante dello spazio urbano

Della formazione di Elio Armano dirò poche cose: iscritto nel 1959 all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico, frequenta il corso di scultura con docenti come Nerino Negri, Amleto Sartori e Paolo Meneghesso. Segue poi L’Accademia delle Belle Arti di Venezia: qui l’incontro determinante con Alberto Viani che, dopo aver consultato i disegni portati da Armano a presentazione e corredo del proprio fare, sentenzia: “Lei non ha bisogno di me”, qualificando il Nostro come già maturo in sé, e stila una lettera indirizzata al suo amico Umbro Apollonio, raccomandando di far accedere il giovane artista all’archivio storico della Biennale, che quest’ultimo allora dirigeva. Cosicché Armano poteva frequentare a suo piacimento il Laboratorio di Viani ma, nel contempo, approfondire le sue curiosità presso l’archivio della Biennale, esclusiva torre eburnea riservata a pochi privilegiati.

Insieme a tali esperienze altri incontri esaltanti da autodidatta, con la letteratura di tutti i tempi e luoghi e con le avanguardie del Novecento. Un florilegio di esperienze, prodotto anche per provvedere al companatico. E gli incontri con altri “artisti militanti” di quella che sarà non solo l’Intellighenzia Veneta, ma i massimi rappresentanti per quegli anni del teatro, della musica e dell’arte italiana, da Luigi Nono a Giuliano Scabia a Tono Zancanaro, Augusto Murer, Emilio Vedova, Alberto Moravia, Mario Rigoni Stern, Ferdinando Camon, Natalia Ginsburg, fino all’amicizia con Andrea Zanzotto.

E intanto Elio “pensa con le mani”, immergendole nell’argilla, e producendo opere per lo più andate perse o distrutte anche se, come scrive nelle sue memorie: “poco importa, perché ciò che davvero non può essere distrutto è la felicità del fare”.

Tra di esse, però, un’opera prima si è conservata: un grande gesso del 1964 riproducente una sagoma vagamente umana, al cui interno si affastellano lacerti di meccaniche ed ingranaggi, allusività a quella perdita di empatia verso gli altri e riduzionismo dell’uomo alla pura produzione, propri del Moderno e del Contemporaneo. Nel contempo, il Meccano della sua infanzia e una inconsapevole anticipazione dell’Uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, un uomo machina, in continuità con quanto rappresentato da Fritz Lang in Metropolis e che oggi vede il suo epilogo nell’Intelligenza Artificiale. Che sia questa, tra le prime opere di Armano, a venire ora, sessant’anni dopo, fusa in bronzo per metterla a riparo dal tempo, pare un premio a coronamento di una “visione lunga” dell’Artista.

A seguire, le opere si muovono su registri e materiali molteplici: libere geometrie in colorazioni intense, ceramiche simulanti paesaggi, sculture in acciaio corten, reti metalliche che raccolgono frammenti in terracotta, sculture di teste scavate come fossero ritrovamenti fossili, acqueforti, acquetinte, litografie.Di tutto questo molto è già stato scritto e da illustri critici. Voglio invece parlare qui del comunista Armano “costruttore di città”. Sì, perché il nostro è stato sindaco di Cadoneghe nei primi anni Ottanta, quando “nella realtà padovana e veneta, le amministrazioni rosse si contavano sulle dita di una mano”. E naturalmente la visione di un artista, anche se militante, è ben diversa dall’amministratore che si limiti all’onesto gestire e governare l’esistente. Cadoneghe era un agglomerato mal distribuito lungo la provinciale di via Gramsci, strada che segue più o meno parallelamente il fiume Brenta. La sede municipale ereditata dalla giunta Armano era un piccolo e vecchio edificio senza qualità. Il nostro avvia il progetto di un nuovo municipio, chiamando l’ormai ottantenne Giuseppe Samonà che poi, con il figlio Alberto, ridisegna “il piano regolatore all’insegna del risparmio del territorio, riducendo le cubature previste, e dell’attenzione per il verde attrezzato e agricolo”. E soprattutto crea il “cuore” di Cadoneghe, il nuovo Municipio, integrando nel complesso edificatorio, assieme agli uffici tecnici e a quelli di rappresentanza, anche l’ufficio postale.

Samonà, su suo mandato, che desidera non un palazzotto del potere politico e burocratico ma una “macchina aperta”, realizza un sistema complesso tra volumi e vuoti in relazioni impostate sulla misura del luogo e della sobrietà. Una Agorà contemporanea che preserva la vecchia sede del Comune, dandogli un volto solenne (seppur di una monumentalità anticlassica) e funzionale e inserendola in un disegno urbano dove i vuoti limitrofi diventano spazi conchiusi d’incontro. Quello che era il parcheggio antistante diventa una vera piazza: Piazza Insurrezione, ottenuta con la creazione di un edificio in linea, in parallelo a quello del Comune, con la testa verso via Gramsci, collegati da una pensilina che fa da copertura ad un percorso pedonale. Quest’ultima termina in un portico dividente il vecchio edificio con il volume retrostante dell’archivio e dei magazzini: una sorta di cerniera che porta ad una seconda piazzetta con piantumazioni arboree, uno spazio limitato e più intimo. Sullo sfondo, verso nord e in parallelo al percorso pedonale coperto, è posta una elaborata recinzione in calcestruzzo, dove è collocata la riproduzione in bronzo della “mano/colomba” di Le Corbusier, su dima realizzata da Armano. Con la stessa dima sarà successivamente eseguita in bronzo anche la medesima mano-colomba collocata all’ingresso, progettato da Carlo Scarpa, della Facoltà di Architettura ai Tolentini. Dietro tale recinzione, a fare da fondo edificato, la scuola elementare progettata da Oscar Marchi.

Armano non rinuncia ad evocare l’olmo possente che dominava il vecchio piazzale: fa creare all’amico Augusto Murer l’albero in bronzo, dedicato alla Resistenza, che decora l’ingresso del portico di quello che è stato per molti anni l’ufficio postale. A conclusione della “macchina compositiva” di Samonà i leggeri porticati di collegamento tra i corpi di fabbrica, ripresi anche in altre parti del territorio.

La giunta di Armano realizza fognature, nuove strade, un centro sanitario su progetto dell’architetto Luisa De Biasio Calimani (recuperando anche qui un vecchio edificio, ma dandogli una nuova veste formale e funzionale), edifici scolastici, impianti sportivi (dedicati a Sandro Pertini), gli uffici tecnici distaccati progettati da Alberto Samonà, la biblioteca e il centro anziani intitolati rispettivamente a Pier Paolo Pasolini e ad Altiero Spinelli, gli impianti sportivi Martin Luther King, il palazzetto dello sport Olof Palme e la nuova Piazza della Repubblica, insieme ad una attenta e intensissima piantumazione di alberi. In sostanza, Cadoneghe prende una forma urbana ordinata e coerente. Scrive Armano: “Ai progetti si partecipava in tanti: disegnavano gli architetti, gli addetti dell’ufficio tecnico, studenti di architettura e io stesso, che operavo di fatto come capo cantiere, e disegnavo piazze, pavimentazioni, dettagli costruttivi di ogni genere, scrivendo il come e il perché di quello che stava diventando un vero laboratorio di esperienze”.

Ma la sua attività di creativo non si ferma all’architettura e all’urbanistica: Armano interviene per primo in Italia, nel 1986, abolendo le buste della spesa in plastica, combattendo l’usa e getta e i gas serra. Insomma, è tra i primi amministratori che danno attenzione all’ambiente. Battaglia questa che lo impegna tutt’oggi, alle soglie degli ottant’anni, schierandosi per una Padova dei Parchi e nella difesa dei beni comuni dal miope consumo di suolo.

Figura poliedrica di artista che ha fatto dell’arte politica e della politica arte, sempre al servizio della collettività: basti pensare al suo Giardino dei Giusti (in fronte al Tempio dell’Internato Ignoto a Terranegra) o al Segno per i cinquecento anni dalla nascita di Andrea Palladio, in Riviera Tiso da Camposampiero. Artista di grande eloquenza e autorità, capace di essere classico e anticlassico, ma sempre con equilibrio e ragione, che sembra portare la bellezza della sezione aurea e delle proporzioni armoniche anche nell’agire istituzionale: perché non si può né si deve essere tutto, ma essere parte, consapevoli del proprio limite.

Foto 1. L’uomo meccanico (in fonderia); seduto: l’Artista Elio Armano; alle sue spalle in piedi l’Artista del Gioiello Graziano Visintin (foto di Antonio Michelon).

Foto 2. testa dell’edificio di quello che era l’Ufficio Postale, ora usato dagli Uffici Tecnici del Comune, in affaccio su via Gramsci. L’albero in bronzo, monumento alla Resistenza, realizzato da Augusto Murer (foto di Paolo Pavan).

Foto 3. Disegno prospettico del progetto per Piazza Insurrezione di Giuseppe Samonà.

Foto 4. Copertina di Casabella (Dicembre 1983) riportante il progetto di Giuseppe Samonà per il fronte del Municipio.

Foto 5. Giardino dei Giusti, a memoria di chi seppe dare solidarietà ai perseguitati dal fascismo di Elio Armano; Terranegra, 2008 (foto di Paolo Pavan).

Foto 6. Ceramiche afferenti a paesaggi cittadini di Elio Armano (Pieve di Soligo, 2020; foto di Paolo Pavan).

Foto 7. Ceramiche afferenti a paesaggi cittadini di Elio Armano (Pieve di Soligo, 2020; foto di Paolo Pavan).

Foto 8. Elio Armano impugna un manifesto contro i gas serra, realizzato dalla sua amministrazione di Cadoneghe nel maggio del 1988 (foto di Paolo Pavan).

Foto 9. Scultura di Elio Armano riportante figurazioni geometriche caratterizzanti stilemi che si ripetono nella sua ultimissima produzione; antenne/alfabeti/archeologie del… futuro (foto dell’autore).

Foto 10. Articolo di Bruno Zevi su “L’Espresso” (dicembre 1988).

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