Ariano nel Polesine: i segni della pratica religiosa nel primo Novecento

Tipologie di credenti nelle parrocchie rurali della Francia nel primo Novecento.

Nelle comunità parrocchiali i sacramenti, segni visibili della religiosità individuale, rappresentano e contrassegnano idealmente il percorso della vita umana. Alla nascita il battesimo conferisce lo status di cristiano. L’insegnamento del catechismo prepara ai sacramenti della Penitenza (riconciliazione) e dell’Eucarestia, ai quali è d’obbligo accostarsi almeno una volta all’anno. Raggiunta l’età della ragione inizia l’obbligo di partecipare alla Messa la domenica e nelle altre feste comandate. Normalmente la maggior parte dei credenti accede alla vita coniugale col matrimonio. Alcuni si consacrano a Dio (Ordine). Al momento del trapasso il fedele potrà ricevere il conforto dell’estrema unzione (sacramento degli infermi) e gli si renderà l’ultimo tributo d’onore con la sepoltura ecclesiastica.

Assumendo questi comportamenti religiosi ascrivibili al primo Novecento come indicatori, Gabriel Le Bras (1891-1970), uno dei maggiori studiosi della sociologia religiosa con particolare riferimento alle comunità rurali francesi, distingue, oltre ai dissidenti (gli atei, i professanti altre religioni, i battezzati che hanno rotto ogni vincolo con la Chiesa) tre categorie di persone. I conformisti stagionali, che si recano (o sono condotti) in chiesa per i cosiddetti riti di passaggio: nascita (battesimo), fanciullezza (prima comunione), giovinezza-maturità (matrimonio), cessazione della vita terrena (esequie). Normalmente assistono alle solennità di Pasqua, Natale, Ognissanti. Molti di loro sono credenti pigri, senza particolari inquietudini. Mandano i figli al catechismo, rispettano e sostengono la Chiesa con offerte e con l’adesione morale, accettano o chiedono l’estrema unzione. Questi comportamenti consentono di qualificare come cattolici una gran massa di abitanti.

I praticanti manifestano la fede attraverso atti ripetuti di culto (Comunione, Messa). È visibile una regolare presenza alle celebrazioni, ai riti, alla predicazione domenicale. Una minoranza di persone particolarmente devote (ferventi) si riconoscono per le comunioni frequenti, la presenza abituale alla Messa, ai vespri, alle funzioni, alle processioni, ai pellegrinaggi, per la rigorosa osservanza del digiuno e dell’astinenza. Da questo gruppo provengono solitamente i membri delle congregazioni religiose, delle confraternite e delle associazioni pie.

La pratica religiosa nella comunità di Ariano del primo Novecento.

La sintetica introduzione si propone semplicemente di richiamare alcuni elementi rilevabili nelle società rurali di fine Ottocento per comprendere mentalità e atteggiamenti presenti nella popolazione della parrocchia di Ariano.

Nei primi anni del Novecento la comunità attraversava una fase accelerata di cambiamento e di incremento della popolazione innescata dal compimento della bonifica idraulica che interessò oltre 12.000 ettari di terreno nei tre Comuni costituenti l’Isola di Ariano. Lo stabilimento idrovoro di Ca’ Vendramin (oggi Museo della Bonifica), ammirevole per imponenza di mole e le innovative soluzioni tecniche adottate, simboleggia la perfetta riuscita della bonifica. I braccianti, sensibili alle idee di giustizia sociale propagandate dai socialisti, costituiscono le prime leghe di miglioramento. Si proclamano scioperi nelle campagne per rivendicare un miglioramento dei patti agricoli e dei salari, giustificati dall’eccezionale incremento della produzione agricola. I fratelli Gaetano e Federico Violati Tescari realizzano un apparecchio per l’aratura a trazione elettrica in grado di dissodare il terreno a 40 centimetri di profondità. Nella loro officina meccanica, modernamente attrezzata, lavoravano oltre cinquanta operai alcuni dei quali, mettendo a frutto talento personale, inventiva ed esperienze di lavoro accumulate, diedero in seguito vita ad attività artigianali rilevanti (Campaci, Orlandini).

Soffermiamoci sul rapporto fra la gente comune e i Sacramenti, a cominciare dal battesimo. I genitori non sembrano dimostrare particolare sollecitudine di portare i neonati al fonte battesimale entro gli otto giorni canonici. Pochi chiedono l’iniziazione cristiana il giorno successivo alla nascita. La maggior parte di loro lascia trascorrere almeno quindici giorni. Taluni “ritardano di mesi e qualche anno” annota don Eugenio Ranzato, rettore della chiesa di Rivà1 I sacerdoti dichiarano concordemente che – in ogni caso – le mammane (levatrici) erano sufficientemente istruite per battezzare i neonati in pericolo di vita. Nell’ammettere i padrini non sempre era possibile imporre il pieno rispetto delle regole. Bisognava tener conto della varietà di opinioni presenti all’interno del tessuto sociale entro il quale il sacerdote operava, ridurre al minimo le esclusioni, inevitabili se si fosse pretesa la rigida applicazione del rituale.2 Un atteggiamento intransigente avrebbe trasformato credenti pigri o indifferenti in avversari maldicenti e risentiti. Di qui la flessibilità adottata nel valutare la scelta dei padrini, a meno che non si trattasse di “pubblici peccatori”.3

I genitori rifiutano il suggerimento di modificare il nome prescelto per i propri figli. I tentativi, non sempre convincenti, del celebrante di opporsi all’imposizione di nomi stravaganti falliscono. Per il quieto vivere perciò “si lasciano passare nomi che a rigore non andrebbero” [4], avendo l’avvertenza di aggiungerne un secondo che attenui la sconvenienza del primo. La questione si risolve con un tacito compromesso, che di fatto concilia l’esigenza dell’autonoma decisione parentale col rispetto delle regole.

I cattolici devono accostarsi almeno una volta all’anno “a partire dall’età della ragione”, alla confessione e alla comunione, dopo aver compiuto un periodo di istruzione e preparazione catechistica di base. Ai ragazzi era consentita la confessione in anticipo rispetto alla prima comunione: tale pratica, benché sollecitata, non era diffusa preferendosi la contemporanea celebrazione dei due sacramenti. Le bambine utilizzavano il confessionale riservato alle donne e, se troppo piccole, si inginocchiavano davanti alla portella, alla presenza dei fedeli e di coloro che le accompagnavano. Uomini e donne affetti da sordità potevano utilizzare un confessionale riservato, lontano da orecchie indiscrete, collocato all’interno della sagrestia. Nel tempo pasquale, per la funzione delle Quaranta ore e in occasione di esercizi spirituali o – più raramente – in altre festività, i parroci mettevano a disposizione confessori straordinari.

Adempivano il precetto della comunione pasquale circa un terzo dei fedeli nella parrocchia di Ariano (presumibilmente 1600-1700), circa mille persone nel paese di Rivà, poco più di metà delle donne e da un quarto degli uomini a Santa Maria in Punta.[5] In queste tre chiese si accostavano settimanalmente alla comunione rispettivamente 50, 12, 6-7 fedeli, per lo più donne. I ragazzi erano ammessi alla prima comunione all’età di 11 anni. Nessuno, di regola, doveva superare i 12. Ma l’età era posticipata anche oltre, a causa della trascuratezza dei genitori “che vanno via sempre cambiando padrone” (Rivà) o per “cattiveria del giovane stesso, o per difetto o ignoranza delle cose necessarie”. Alcuni raggiungevano anche 18-20 anni, “per indifferenza propria”. Il sacerdote di Ariano portava la comunione al capezzale degli infermi una sola volta l’anno, in occasione della Pasqua. Nella curazia di Santa Maria in Punta questo avveniva anche durante l’anno e a Rivà, fuori della Pasqua, solo a chi lo richiedeva.  

Il matrimonio rappresenta un altro momento fondamentale per la conoscenza dei costumi religiosi Durante la cerimonia nuziale pochissime coppie si accostavano alla confessione e alla comunione. I matrimoni celebrati solamente in chiesa, non seguiti dall’atto civile, erano in tutto una decina. Circa trenta coppie risultavano unite col solo contratto civile. I coniugi separati – in genere per incompatibilità di carattere – erano pochi nella parrocchia di Ariano; uno soltanto a Rivà (“gli fuggì la moglie in altri paesi”); due a Santa Maria (“una per non avere casa propria, l’altra per il capriccio”). Le coppie di fatto, senza vincolo religioso né civile assommavano a quaranta, di cui 32 a Santa Maria.

Nella società contadina si nasceva e si moriva in casa. Il sacerdote portava la comunione ai moribondi, se la distanza da percorrere era breve, accompagnato dai fedeli, da lumi, al suono di tutte le campane. Fuori del paese, nei casolari di campagna, usava un solo lume e un campanello. Se la distanza era eccessiva, o durante la notte, in caso di urgenza o di condizioni atmosferiche avverse, il viatico era portato senza alcun apparato esteriore. Quando l’infermo era considerato prossimo al trapasso, il sacerdote impartiva l’estrema unzione indossando la cotta e la stola. In certi casi il sacramento veniva somministrato con difficoltà, persino all’insaputa dei familiari e senza cotta per non impressionare o impaurire l’ammalato.

I funerali erano celebrati di solito con l’accompagnamento di un solo prete, a volte con due o più. Il carro funebre veniva ricoperto dal panno mortuario dei poveri (se si trattava di povera gente) o dal panno dei confratelli del Santissimo Sacramento, dietro corresponsione di due lire e mezzo.

La cerimonia della levata del cadavere, nel corso della quale si impartiva la prima assoluzione, non sempre poteva aver luogo nell’abitazione del defunto. Se la distanza dalla chiesa era eccessiva, il sacerdote concordava con i familiari un punto d’incontro lungo il tragitto per dar corso alla cerimonia.

Rarissimi i funerali civili (uno o due l’anno), ma eloquenti per la nostra analisi. Testimoniano una concezione rigorosamente atea della vita e distacco assoluto dalla Chiesa. Il rifiuto della sepoltura ecclesiastica avviene in un momento in cui risulta psicologicamente difficile sottrarsi al richiamo profondo di misericordia e di salvezza insito nel messaggio cristiano. La decisione non viene di solito presa da un singolo, ma da una cerchia parentale ristretta, in nome del rispetto della volontà del defunto, per sanzionare con un atto definitivo e coerente una scelta di vita.


NOTE

1 Visita pastorale di Mons. Anselmo Rizzi alla rettoria di Rivà, 1914.

2 Anche i leghisti socialisti partecipavano alla processione del Venerdì Santo.

3 Visita pastorale di Mons. Pio Tommaso Baggiani alla curazia di Santa Maria in Punta, 1911.

4 Visita pastorale di Mons. Pio Tommaso Baggiani alla parrocchia di Ariano nel Polesine, 1911.

5 La parrocchia di Ariano contava circa 6000 anime, divise in 1200 famiglie. La curazia di Rivà circa 2800, divise in 340 famiglie. La curazia di santa Maria in Punta 1900 anime con 385 famiglie.

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