Che anno sarà per il nostro Welfare?

Concreto il rischio che, anziché migliorare, le cose peggiorino per poveri e disoccupati, disabili e non autosufficienti, malati ed emarginati

L’intervento augurale del Presidente della Repubblica per il 2025 dovrebbe, anzi deve, essere il faro che illumina gli obblighi costituzionali dei politici con incarichi e responsabilità, istituzionali, in primis i componenti del governo nazionale. Purtroppo, da “semplice cittadino” dello splendido Paese Italia, con profonda amarezza riscontro che un buon numero di politici, invece di preoccuparsi dei grandi problemi che attanagliano il Paese, sono fortemente impegnati in polemiche e scontri istituzionali, in contrapposizione con la magistratura e con il sindacato. Nei loro strumentali e caritatevoli, ma in fondo pelosi, auguri sia natalizi che d’inizio anno, hanno presentato un’Italia “festaiola” in cui grazie (sic!) a loro tutto va bene, sottolineando come la legge di bilancio 2025 sia la panacea che risolve tutti i mali. Hanno scalzato Pinocchio!

Purtroppo, bugie istituzionali e fumose promesse politiche scaraventano ai margini della società, e nel tunnel senza uscita della disperazione, milioni di persone. Purtroppo anche il 2025 sarà un anno di tristezza, amarezza e sofferenza per poveri, disoccupati, disabili, non autosufficienti, malati, emarginati. Sarebbe bene, consigliabile – accogliendo anche le proposte delle confederazioni Cgil Cisl e Uil, del terzo settore, del volontariato, delle associazioni imprenditoriali ed economiche – coinvolgendo Regioni e Comuni, che governo e parlamento, convergendo in accordi legislativi programmatori, utilizzassero i miliardi finalizzati a sostenere i costi bellici, nonché i milioni di spese di rappresentanza (di immagine) istituzionale, per finanziare maggiormente la sanità pubblica, il fondo per gli anziani non autosufficienti, i progetti per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente, il diritto di studio universitario soprattutto per i più poveri, i sostegni economici alle associazioni caritatevoli, l’umanizzazione delle carceri.

Solo la realizzazione (urgente) di questi (e altri) obiettivi sociali può, potrà, veramente caratterizzare il 2025 come buon anno per tutti. Soprattutto, sarà un buon anno se la pace abbraccerà il mondo.

WELFARE & CRISI

Alle (eventuali) forzature neoliberiste è opportuno riprendere, nel merito “valoriale”, il concreto significato del termine welfare. Lo “stato sociale” (welfare state significa stato di benessere, tradotto letteralmente dall’inglese) inteso come un insieme di norme, ovvero atti e provvedimenti esigibili da parte dei cittadini, con il quale lo Stato (Governo e Parlamento), con le proprie articolazioni decentrate (Regioni, Comuni, Aziende sanitarie, residenze protette e così via) ha o avrebbe l’obbligo di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini, fornendo servizi e garantendo diritti essenziali, non minimi, per un tenore di vita almeno dignitosamente accettabile.

Le difficoltà sociali (povertà, precarietà nel lavoro, disabilità, non autosufficienza) che stanno pesantemente investendo l’Italia, trascinando nella sua scia negativa anche la regione Veneto, non possono essere alibi per smantellare la rete pubblica dei servizi. Sono proprio le situazioni di difficoltà finanziarie, produttive ed occupazionali, che dovrebbero far emergere con molta più evidenza e concretezza i valori (solidarietà, fratellanza…) tra le persone e le pubbliche istituzioni, per la riaffermazione dei “diritti di cittadinanza costituzionali”. Le espressioni sociali e sindacali, in particolare “unitariamente” Cgil, Cisl e Uil, nell’attuale complicata e complessa situazione politica ed economica, sono chiamate non solo a rappresentare sufficientemente bene i fabbisogni delle persone ma, soprattutto, sono sollecitate a moltiplicare i loro sforzi, in un’azione comune (convergente e unitaria) per salvaguardare il vigente sistema di welfare, valorizzandolo maggiormente proprio perché soggetto a pericolosi ridimensionamenti – si vedano gli inadeguati finanziamenti alla sanità pubblica e all’assistenza agli anziani non autosufficienti – da parte del governo.

Quindi il “federalismo solidale”, in netta contrapposizione all’autonomia differenziata, dovrà determinare prestazioni qualitative e quantitative corrispondenti alle effettive necessità di tutte le persone e non sulla base (o sulla diversità) della loro residenza territoriale. Prestazioni sociali come diritti dei cittadini da affidare alla precisa “responsabilità” degli amministratori pubblici.  L’universalità del welfare può avere benissimo delle declinazioni locali perché i contesti sociali, economici, politici e anche culturali, nel tempo, hanno plasmato specificatamente le varie comunità, a volte purtroppo con caratterizzazioni eccessivamente campanilistiche). Per questo, anche a fronte dell’inaccettabile ritardo dello Stato (ovvero del Governo) nel definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, e le iniziative regionali e comunali orientate a “rivendicare” adeguate prestazioni sociosanitarie e socio-assistenziali, vanno interpretate e sostenute come opportuna declinazione locale del welfare state, più precisamente “welfare generativo” all’interno di un’unica e condivisa “cabina di regia”. Ciò per mettere in rete tutte le risorse disponibili e le professionalità esistenti, al fine di omogeneizzare sul versante dell’assistenza (ad esempio, in sanità, i LEA, livelli essenziali per risposte uniformi) i servizi e le prestazioni ai cittadini, con particolare attenzione alle persone con bassi redditi, alle famiglie con disabili e ai non autosufficienti.

Far conoscere più ampiamente, e far vivere con maggiore convinzione, le richieste del “tavolo della programmazione” è il presupposto per sperimentare, almeno, l’avvio di un progetto di “concertazione partecipata”, da affidare ad una composita “massa critica” convergente nelle seguenti finalità: informazione, consulenza, accoglienza pronto intervento, segretariato sociale, programmazione regionale, fondo regionale per la disabilità e la non autosufficienza. Le successive iniziative del “tavolo della programmazione”, ovviamente se tutte le parti che lo hanno fatto nascere, e tutte le forze che hanno aderito, mantengono coerentemente il loro esplicito e fattivo sostegno, dovranno puntare all’approfondimento e alla definizione di proposte sui seguenti punti:

– compartecipazione, ovvero quanto allo Stato, quanto alla Regione e quanto al Comune, esentando determinate famiglie e determinate persone in considerazione dei loro redditi e ricchezze;

– Isee come strumento, valutando i criteri da omogeneizzare e rivedere nella determinazione della ricchezza e del reddito;

– finanziamento del fondo per la non autosufficienza, esaminando le quantità necessarie, le fonti di entrata e le finalità;

– povertà, analizzando le specificità locali e indicando quali e quanti interventi mettere in atto.

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