Etienne de La Boétie: “Discorso della servitù volontaria”

Il saggio di un filosofo cinquecentesco, per le sue considerazioni sulla libertà, appare estremamente attuale anche ai nostri tempi

Nel primo libro dei suoi Saggi, in un capitolo intitolato all’amicizia, Montaigne ricorda quella “intera e perfetta” che “finché Dio ha voluto”, cioè fino alla morte di lui, l’ha legato a Etienne de La Boétie (1530-1563), autore di un Discorso sulla servitù volontaria che egli intende “prendere in prestito” perché “farà onore a tutto il resto” della sua opera. In effetti ne trascrisse soltanto qualche brano che nel capitolo seguente, intitolato I cannibali, mette in bocca a tre selvaggi d’America, i quali, davanti allo spettacolo della città di Parigi e della corte del giovanissimo Carlo IX, con la loro logica elementare si chiedono come sia possibile che “tanti uomini grandi, con la barba, forti e armati” ubbidiscano a un fanciullo; e che tanti miserabili affamati non ammazzino i ricchi “pieni fino alla gola di ogni sorta di comodità”, invece di chieder loro l’elemosina.

È la stessa domanda che, con lo stesso stupore, La Boétie pone alla base del suo Discorso “in lode della libertà contro i tiranni”. Questa aggiunta di Montaigne è quanto mai opportuna perché mette in chiaro che qui si tratta soltanto della libertà politica: gli uomini, essendo per natura tutti ugualmente liberi, logicamente si ritiene che amino la libertà; come può essere allora che in tanti si sottomettano a uno solo, un “ometto” per lo più, il quale “non ha altra potenza se non quella che essi gli concedono”? Perché per liberarsi non c’è bisogno della rivoluzione né della guerra: basta “volerlo fare. Decidetevi a non servire più, ed eccovi liberi”.                                              

Così, a differenza dei cannibali, il signor de La Boétie arriva consequenzialmente a darsi anche una risposta: vuol dire che, se ci sono servi e tiranni, questo non dipende dai tiranni, che non avrebbero, in sé, la forza di imporsi, ma dai servi, che tali vogliono essere. La servitù è dunque volontaria.

Ora è vero che questa problematica si inerisce nella cultura rinascimentale, al cui culmine europeo La Boétie (1530-1563) appartiene. Infatti fin dal ’400 l’idea – e anche la prassi – del tirannicidio, di palese eredità classica, circola non solo in Italia, insieme a quella complementare di libertà, elevata a livello teologico da Pico della Mirandola nel De dignitate hominis; mentre frequenti riferimenti alla responsabilità dei servi si possono trovare nelle dottrine derivate dallo stoicismo greco-romano o, ad esempio, nel disprezzo di Dante per gli ignavi.

Ma, rovesciando con inesorabile chiarezza e semplicità il tradizionale e, per così dire, scontato rapporto servo-tiranno, la risposta del signor de La Boétie resta sconvolgente e scandalosa anche per lui. Tant’è vero che si affretta a cercare ragioni e cause che spieghino la volontà di servire e attraverso una lunga, tortuosa e faticosa analisi ne trova tre: l’abitudine, la corruzione e la devozione che, misteriosamente e quasi religiosamente, il tiranno può ispirare a milioni di uomini “incantati e affascinati dal solo nome d’uno”. Più o meno quello che Giosué Carducci dice a proposito di Luigi XIV:                                                                                                      

Quand’ei dormia, poggiato a un bianco seno, / col pugno all’elsa e in su le teste il pié, / tutta la Francia dall’Oceano al Reno, / era superba di vegliare il re.  

(da Versaglia, in Giambi ed Epodi)

Se i cannibali non hanno saputo cosa rispondersi e l’autore si è dovuto arrampicare non poco sugli specchi per dar ragione della propria risposta, un’altra domanda pone ora questo Discorso ai lettori di oggi: perché, dopo cinque secoli di assai modesta intermittente fortuna, sembra invece venire incontro al ventunesimo, tanto che dal 2014 al 2023 Feltrinelli ne ha fatte ben dieci edizioni – una ogni anno – e nel 2010 un artista francese, Arno Fabre, l’ha copiato per intero (58.351 caratteri)sulle pareti della stanza dove probabilmente è stato scritto, nella Maison La Boétie, residenza dell’autore a Sarlat trasformata in museo?

Sarà anche effetto delle numerose dittature del ’900 e di quel non poco che ce ne rimane, con le loro folle plaudenti e schiere di militanti di cui si può dire che l’hanno volute. Ma probabilmente dipende ancor più da una cattiva coscienza che ormai non esclude quasi nessuno. Mi spiego: fino a dieci-venti anni fa il tiranno era o fuori o dentro di noi, o nella imposizione esterna o nella passione dell’animo. Ora però ha trovato una via di mezzo: le macchine, alle quali ci siamo consegnati mani e piedi, non perché esse ci costringano in alcun modo dall’esterno ma perché siamo convinti di non poterne fare a meno. Anche se col sempre più consapevole sospetto che i rischi potrebbero rivelarsi maggiori dei vantaggi. 

E allora “Decidetevi a non servirvene più, ed eccovi liberi” sembra quasi che il signor de La Boétie l’abbia scritto per noi.

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